Linguaggi da Favola

Preambolo

Nell’anno scolastico 2021-2022 sono 316mila gli alunni con disabilità che frequentano le scuole italiane (+5% rispetto al precedente anno scolastico). Gli alunni che presentano un
bisogno educativo speciale superano l’8% degli alunni iscritti. Più della metà sono alunni con disturbi specifici dell’apprendimento (51,8%); l’altra quota più importante è rappresentata dallo svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale (35,4%).
Rispetto all’anno scolastico 2017/2018 la presenza di questi studenti all’interno della scuola risulta in aumento del 23% (+113mila circa).

Nella scuola secondaria di primo grado gli alunni con bisogni educativi speciali, esclusi i ragazzi con disabilità, rappresentano ben il 12,3% degli alunni iscritti, contro il 7% nella scuola primaria; negli ultimi quattro anni l’incremento più consistente si osserva però nella scuola secondaria di secondo grado dove sono aumentati di circa 85mila unità. La maggiore concentrazione è negli Istituti professionali e di tipo artistico, in cui rappresentano, rispettivamente, il 17,5% e il 16,6% degli iscritti. Nettamente inferiore la
loro presenza all’interno dei Licei, scientifico e classico (intorno al 5%). Questi studenti sono in aumento anche nella scuola dell’infanzia, con un rapporto sul totale degli iscritti che passa dallo 0,9% all’1,3% in quattro anni.

L’analisi dei piani didattici personalizzati permette la stesura del Piano Annuale per l’Inclusività (PAI), uno strumento che consente alla scuola di programmare e organizzare in tempo le risorse necessarie per i propri alunni e contribuisce ad accrescere la consapevolezza dell’intera comunità educante sulla centralità e la trasversalità dei processi inclusivi. Nell’anno scolastico 2021-2022, quasi la metà delle scuole (45%) ha attuato una programmazione a lungo termine, predisponendo il PAI sia per l’anno scolastico in corso sia per quello successivo; meno consistente è invece la quota di scuole che si sono avvalse di una programmazione a breve termine, provvedendo alla stesura del PAI per un solo anno scolastico (32%). Resta purtroppo una quota del 6% di scuole che non ricorrono ad alcuna programmazione, percentuale che sale fino all’8% nelle regioni del Nord.

Fonte:
Report – L’INCLUSIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI CON DISABILITÀ | A.S. 2021-2022


Violenza

La ricerca scientifica ha verificato in tutti questi ultimi anni come l’aggressività non sia in realtà un istinto, e dunque non sia affatto inevitabile. Oggi sappiamo con certezza che la violenza non è innata, non è presente sin dall’inizio nella vita del bambino, ma è una alterazione, un disfunzionamento che si produce successivamente solo quando non vengono soddisfatti in pieno i bisogni del bambino.
Se l’ambiente circostante non riesce a far sentire il bambino pienamente accettato, compreso, valorizzato, la rabbia (che normalmente deve essere solo l’ultimo mezzo a cui il bambino ricorre quando tutte le altre modalità non hanno avuto effetto) finisce per accumularsi, per crescere e cronicizzarsi, fino a diventare aggressività, tendenza alla distruttività, bullismo, cattiveria, incapacità di usare una forza calma, serena e gioiosa.

Una ricerca effettuata dalla Scuola Europea di Psicoterapia Funzionale (a partire dallo studio di casi clinici, dal lavoro diretto con l’infanzia e l’adolescenza, e dall’attività che da anni essa svolge con insegnanti ed operatori sociosanitari) mostra come si stiano dilatando eccessivamente funzionamenti di durezza, di agitazione, di aggressività, alimentando un terreno su cui si innestano poi alterazioni, patologie, comportamenti devianti, comportamenti di violenza.
Appare ogni giorno più urgente cercare di fermare il crescere della violenza e delle intolleranze favorendo lo sviluppo di una vera cultura della legalità e della solidarietà, capace di portare nel mondo una nuova speranza. Molto si è speso per diffondere in bambini e in adolescenti concetti di legalità e solidarietà; ma perché questi sforzi risultino veramente efficaci, bisogna che incidano sui funzionamenti di fondo delle persone, sui loro processi più profondi, non limitandosi solo alla sfera più superficiale, solo ai livelli della consapevolezza e della volontà.

Fonte:
Alle radici della violenza | psicologiafunzionale.it |
© 2012 – 2023 SOCIETÀ ITALIANA DI PSICOTERAPIA FUNZIONALE

Progetto Editoriale

Cos’è la parola?
Un percorso fatto di elaborazione anche visiva, di pensiero critico che nella sua sintassi diventa costrutto verbale. E più il nostro vocabolario si amplia (codici), meno frustrazioni comunicative avremo.

Senza la parola siamo muti, in un silenzio che non è riflessione, ma impotenza.

Il mio obiettivo è aumentare le parole dentro ognuno di noi, e perchè passare per la favola ed il disegno libero?
Perchè la lettura arricchisce la nostra immaginazione ed il nostro vocabolario, mentre l’opportunità di disegnare crea percorsi di riflessione, analisi, ricerca, una fase propedeutica alla voglia di sapere di più, che si traduce in disegno (segno) magari da interpretare, ma comunque esercizio di un’azione portata a termine. Un tassello nella rete di eventi di un bambino, ragazzo, adulto, che è stimolo per andare alla ricerca di altre parole.

Questo progetto editoriale nasce dalla consapevolezza di voler (e dover) supportare e dare, e l’idea tocca 2 aree di sviluppo della persona fondamentali:

  • La capacità di comunicazione personale (attività neuronale – acquisizione di codici del linguaggio attraverso la raccolta di parole).
  • Capacità di interazione sociale (attività emotiva – consapevolezza emozionale e conseguente capacità di lettura di sé stesso e dell’altro).

La frustrazione del non saper esprimere se stessi e non riuscire a gestire il dialogo sociale porta a forme di violenza psicologica e fisica che potrebbero essere contrastate proprio dal grado di espressività personale. In questo contesto il “libro” ha il compito di aggiungere qualcosa al bagaglio emotivo del lettore, che sia lo spunto per un sogno o la capacità di elaborare nuovi pensieri grazie a nuove parole.

Leggi, Senti, Crea

L’interattività di questo libro è dato dall’assenza di immagini (dalla copertina alla storia) proprio per dare libertà di espressione a chi legge. Questa “mancanza” diventa possibilità per tutti i bambini e ragazzi nella fascia d’età tra gli 8 e i 15 anni e ancor di più, per le persone BES. Vista la particolarità del libro che lascia esprimere il pensiero attraverso la creazione di percorsi artistici, con l’utilizzo di linguaggi verbali e non, più vicini alle esigenze di ogni singolo lettore.

Progetto di ricerca – Scuole, Associazioni & Persone BES

L’idea è quella di dare un libro ad ogni ragazzo BES nei 3 anni delle scuole medie, così da poter creare uno “studio”, attraverso l’analisi dei disegni, da valutare insieme a psicologi, sociologi, psichiatri, pedagoghi e neurologi.

I risultati degli studi dei libri darebbero la possibilità di creare un archivio pubblico dal quale reperire informazioni (sito web). Il progetto potrebbe essere finanziato da: PON, Scuola Viva, Ministero dell’Istruzione, Associazioni.

I libri sarebbero restituiti ai singoli lettori, così da far creare una loro personale libreria creativa, dando anche la possibilità di ricevere altri libri (con storie differenti) dopo la fine del percorso di scuola media primaria. Con i lavori degli alunni/lettori, si potrebbero creare mostre all’interno delle scuole/associazioni, per dar vita a tavoli di scambio con professionisti e famiglie.

Un libro da “co-creare” a partire dalla copertina, così da sviluppare una memoria da conservare tra le cose più care.

Un libro da “co-creare” a partire dalla copertina, così da creare una memoria da conservare tra le cose più care.

Progetto per le scuole

Quali strumenti abbiamo contro il bullismo e contro la dispersione scolastica? Cosa possiamo fare per rendere la scuola un momento di bellezza sociale?

Dobbiamo partire dalla parola amore, non solo quella romantica e super utilizzata per ogni cosa, ma quella viscerale e inattaccabile, che sgorga passione ed emozioni.

Chi insegna dovrebbe emozionarsi più degli scolari, perchè nessun messaggio sarà recepito senza una adeguata spinta emotiva reale, perchè chi ascolta, ha bisogno di certezze. C’è bisogno di dialogo, di ascolto, di ripetizione e anche di attimi di pausa.

La scuola è la casa della cultura e della crescita, e la meraviglia dovrebbe pervadere ogni angolo di essa, le persone (tutte) le aule, i laboratori, le mense, gli spazi comuni e le strade che portano ad essa, tutto dovrebbe essere studiato per dare bellezza. Spero che l’idea di questo libro possa far scattare la voglia di bellezza, il bisogno di emozione e la capacità (innata) di amare.

La possibilità di esprimere il proprio sentimento creativo dopo la lettura, potrebbe essere motivo di dialogo per la consapevolezza emotiva.

Percorso

  • Lettura della favola
  • Q/A con l’autore
  • Disegno

Opportunità:

  • mostre con i disegni dei ragazzi
  • tavole rotonde con i genitori per parlare di comunicazione

Progetto per le Associazioni

Ogni libro della collezione avrà sempre una pagina dedicata alle Associazioni che si occupano di sviluppo e di tutela della persona. La presenza nel libro sarà sempre gratuita e basata sull’operato della singola. Il logo, il sito web e una descrizione daranno modo di conoscere le Associazioni.

Le Associazioni potranno richiedere il libro per progetti ed iniziative con la possibilità di brandizzarlo/personalizzarlo. Potranno venderlo al prezzo di copertina (consigliato) e trattenere il 40% al netto delle spese di produzione. In occasioni speciali, si potrà trattenere tutto il ricavato al netto delle spese di produzione.

All’interno del libro la possibilità di ospitare riferimenti ad Associazioni che si occupano
di sociale e sviluppo personale.

Il libro

Questo è un libro attivo, in grado di regalare spunti emotivi e pratici per lo sviluppo cognitivo del lettore (il ragionamento, l’intelligenza, il linguaggio e la memoria). Il libro ha internamente la storia in italiano per la lettura e pagine bianche per lo sviluppo creativo.

Ogni pezzo della storia ha la sua pagina per dare sfogo all’immaginazione.

Le immagini

“Illustrazioni cadute dal libro”, utilizzabili oltre che per la lettura del racconto, anche per crearne di nuove, o per abbellire la camera.

Le immagini “cadute dal libro” sono pronte a supportare il racconto o a crearne di nuovi.

Extra

Il libro è spedito in una scatola che racchiude la lettera ai “grandi” e una matita. Anche la scatola è bianca e può essere personalizzata ed utilizzata per contenere memorie.

Workshop
Linguaggi da favola è anche un workshop adatto alle scuole. Il racconto delle favole in italiano ed inglese (per l’Italia) con l’ausilio di illustrazioni stampate e/o proiettate. Q&A con l’autore e sessione di disegno.

From Lidia – Bristol 2015
From Vanessa – Bristol 2017
From Vanessa – Bristol 2017
From Creations by Nicky – Italia 2019
From Elena – Italia 2020
From Elena – Italia 2020

Lettera dell’autore

Il nostro linguaggio è fatto di parole e di azioni, insieme sono espressione di chi siamo e chi saremo. É importante conoscere le parole, ancor di più quelle delle emozioni (i loro nomi) e coltivarle, per liberarsi dalla frustrazione emotiva che non rende giustizia a quello che “sentiamo” dentro di noi.

Questo progetto prova a fare entrambe le cose, con un libro attivo, dove la lettura si intreccia al pensiero per diventare espressione, emotiva e creativa, così da allenare al racconto un po’ in più di noi, agli altri e a noi stessi.

La violenza, in ogni sua forma può essere sconfitta dalla consapevolezza del sé e dalla capacità di esprimere. Dobbiamo aiutare i nostri piccoli eroi del futuro ad allenarsi al dialogo, all’ascolto, alla condivisione. Dobbiamo fare un passo indietro per portare avanti il futuro di altri 100 anni, e questo è possibile solo donando equilibrio ed essenziale.

Questa proposta è la prima di una serie di 15 storie, racconti che vogliono diventare raccolta di memorie e di emozioni, la mia preghiera a voi “piccoli” adulti e/o adulti dal cuore “giovane”, è di non proteggere il libro dalla forza dei vostri piccoli “grandi” sognatori. Lasciate che lo utilizzino e lo consumino, e magari aiutateli a distruggerlo a colpi di sogni.

Un giorno, riguardando questo libro “imbrattato” di passione, troverete una memoria pronta a regalarvi un sorriso e/o una lacrima di gioia.

Ricordatevi che:

“Non esistono concetti troppo difficili per un bambino, solo adulti svogliati!”

Grazie.

Fatacchie

Il progetto “Fatacchie” nasce nel 2007 dall’incontro quasi fortuito tra Max Spera e Nicola Lisci a Roma. L’idea è di utilizzare una delle storie per sviluppare un progetto/start-up di quello che dovrebbe diventare un cartone animato. Al gruppo si aggregano Antonio Ostuni (web) Alessandro Landi (musica) Martina Cimarelli (traduzioni) Martina Talucci (traduzioni) Ivan Pergasi (animatore). Nel 2010 a Londra entra a far parte del team Nadia Ostacchini, che rende la storia un audio-book attraverso la sua compagnia teatrale “Tricolore Theatre Company”.

Team

Sinossi

Nei nostri sogni, nei nostri pensieri, ci sono delle immagini, dei personaggi, che il più delle volte dimentichiamo nel giro di pochi secondi, o non ricordiamo affatto. Ma ci siamo mai chiesti da dove arrivano quelle immagini? Chi sono i personaggi che vediamo? E se ci fosse un mondo vicino al nostro dove si lavora perché tutto questo avvenga?

Un mondo in cui si organizzano casting, prove, si attrezzano studi e si creano scenografie, il tutto, per dare a noi la possibilità di sognare e creare. Ma ancora di più, siamo sicuri che questo mondo sia diverso dal nostro? E se anche lì per avere la parte principale, del sogno più bello dell’anno, devi essere amico di… parente di…?

Trailer

Personaggi

AudioLibro (Inglese)

Voice over from Tricolore Theatre Company

L’AudioLibro è stato sviluppato da Nadia Ostacchini e la Compagnia “Tricolore Theatre Company”. Gli attori sono: Nadia Ostacchini, Phil Gerrard e Eugenia Caruso. Supporto tecnico di Peter Sutton. L’audio è stato registrato presso “Maxability” in Southgate – London, UK. 2011

Prodotti

La storia (non tutta)

Nel mondo dei sogni e dei desideri vivono tanti personaggi della nostra fantasia e, altri che ancora devono essere creati. Nella città di Story Town vivono i personaggi più famosi di tutte le storie e racconti, ma siamo sicuri di conoscere la realtà delle cose? Secondo voi, perché un personaggio della fantasia diventa famoso ed un altro no?
Poco lontano da Story Town c’è Favola City che è il punto d’arrivo (a volte definitivo) per gli
aspiranti P. F. (Personaggi Famosi), è qui che si intrecciano storie di delusioni e di vittorie, ed è qui che inizia il nostro racconto, dietro le quinte di un mondo che ci rivelerà una realtà sconvolgente. C’è una categoria, che da sempre vive sotto i riflettori e raccoglie consensi in ogni parte del mondo, è la Casta delle Fate: Madrine, Fate, Maghe, Fattucchiere, Aiutanti etc., insomma, il Gota della magia al femminile. Ma cosa c’è di vero dietro tutto questo, che sicurezza abbiamo noi che siano veramente magiche? Siete sicuri che Campanellino sappia volare? E la Fata di Pinocchio, prima di apparire sullo schermo, cosa faceva nella vita?

A queste e ad altre domande risponderemo grazie ad una nostra agente infiltrata che ha scoperto il passato di quattro donne, quattro vere maghe che oggi si occupano di tutt’altro (due gestiscono un bar, una fa dolci per una pasticceria, un’altra fa la cameriera in un pub). Sono quelle che nella più blasonata Story Town, vengono chiamate Fatacchie, donne magiche che non hanno raggiunto il successo e che oggi, dopo più di cinquecento anni di soprusi, ci sveleranno i segreti delle loro…pfui…”colleghe”. Adesso diamo la parola alla persona che ha scoperto tutto questo, una nostra infiltrata che per più di un anno ha girato in lungo ed in largo e da cima a fondo Favola City e Story Town, naturalmente per motivi di sicurezza non possiamo svelarvi il suo nome, la sua identità deve rimanere segreta, in futuro potrebbe scoprire altre sensazionali storie, ma adesso appassioniamoci a questa e, per cautela, chiameremo il nostro riferimento Ketty. Ci sei Ketty?

Ketty: ciao Capo! Certo, sono qui nel pieno della parata che apre i festeggiamenti per la
ricollocazione delle vere donne magiche all’interno delle favole, oggi le quattro donne si
presenteranno al grande pubblico e costituiranno il nuovo collegio della magia, l’unico che avrà il potere decisionale su quali maghe ed affini devono entrare nelle storie, ma adesso può partire il filmato che vi racconterà l’avventura delle nostre amiche e che darà al mondo reale e fantastico finalmente il polso di quello che succedeva fino a pochi giorni fa! A dopo!
Tutto è iniziato qualche anno fa, quando per caso lessi su di un giornale che stavano cercando una Fata perché di li a poco avrebbero creato una nuova storia, il giornale di Story Town aveva nella pagina degli annunci un trafiletto con la data e l’ora del casting, naturalmente non avendo interesse per quella cosa non le diedi peso. Dopo qualche settimana un bel titolo a centro pagina annunciava che la Fata era stata trovata e che presto sarebbe stata presentata al pubblico, le iniziali riportate erano G. M.. Qualche giorno dopo, la foto della prescelta campeggiava sulla prima pagina di quasi tutti i giornali, era bella, anzi, bellissima, da fare invidia a Cenerentola, ma una cosa destò la mia attenzione e dopo la mia curiosità, il nome sotto la foto era: Giusy Nolan. La maggior parte di voi penseranno: “un errore di battitura può sempre capitare” e, in effetti, anch’io archiviai in quel modo la faccenda, ma, a distanza di una settimana e mezza dalla notizia, in un bar ascoltai le parole di un tizio che apparentemente sembrava matto. Nel locale si parlava della nuova Fata, ma lui sembrava contrariato e ad un certo punto interruppe la discussione degli altri dicendo: “…tanto si sa come funzionano queste cose…scommetto che quella non è nemmeno una vera fata”! Naturalmente tutti si misero a ridere e lui, contrariato, se ne andò. Ricordandomi dell’errore, lo seguì e lo fermai per chiedergli perché avesse detto quella cosa, e lui, continuò: “…lo vuoi sapere davvero? Sei sicura?

Io non posso dirti tutto, altrimenti l’incantesimo che ho addosso si avvererebbe, ma posso dirti che è tutto finto, è tutto un giro per fare soldi, le vere donne magiche sono tra di noi, sono quelle che fanno i lavori più umili, guardati attorno e scoprirai la realtà, adesso basta non ti posso dire di più e, non cercarmi, non ti potrei dire altro!”. In effetti si vedeva che aveva bevuto, ma il mio istinto mi diceva di provare a cercare qualcosa, dopo una veloce consultazione su internet e di alcuni archivi di un giornale, mi ritrovai davanti molti articoli che parlavano di “Fatacchie”, ovvero il termine con il quale le donne magiche di Story Town chiamano le donne magiche che non hanno superato i provini e vivono a Favola City. Grazie al mio amico Flash non mi fu difficile recuperare una lista di nomi di donne magiche: è un vero e proprio mago dei book fotografici, appena un aspirante P.F. mette piede a Favola City è a lui che si rivolge per il primo set fotografico. Naturalmente dalla lista presi solo i nomi delle ragazze che avevano fatto il servizio fotografico almeno nei cinquant’ anni precedenti, così da avere qualcuno che conoscesse la storia delle cose, Flash allora era ancora inesperto e usava dare anche i negativi alle ragazze, così non avevo nessuna foto delle tipe, ma in compenso avevo i loro indirizzi. La prima della lista si chiamava Marta Grimm, prima di provare a parlarle decisi di seguirla, in effetti non era quella che in gergo si può definire, una fatina (aveva i fianchi un pochino abbondanti e sicuramente un’ossatura massiccia), la seguì per qualche giorno e scoprii che gestiva un Bar insieme ad una sua amica, l’occasione di parlarle si presentò quando un giorno, approfittando della pioggia, decisi di entrare nel bar e ordinare qualcosa. Per fortuna il bar era vuoto e così iniziammo a fare amicizia senza che nessuno potesse disturbare…

Ketty: …beh in effetti non è facile per chi arriva inserirsi, qualche tempo fa era tutto più semplice, chi voleva lavorare nel mondo delle storie non pensava ai guadagni, era una vera e propria passione!
Marta: non credere, il potenziale delle storie è sempre stato sotto gli occhi di tutti e gia molto tempo fa per entrare si era disposti a tutto!
Ketty: vuoi dire che il mondo di Story Town è corrotto?
Marta: diciamo che non tutto quello che luccica è oro!

…quella sua affermazione mi incuriosì molto, ma naturalmente non potevo esagerare, rischiavo di far scoprire la mia identità. Dopotutto mi ero presentata come aspirante governante (a dire il vero io non so nemmeno cucinare)…

Ketty: dopotutto io non cerco un ruolo di primo piano, non pretendo di fare la Principessa, o la Fata, vorrei fare la Governante, accudire la casa, istruire i figli, nelle storie è un personaggio che non deve mostrare chissà cosa, il più delle volte appare appena!
Marta: è uguale, non è il peso che tu vuoi avere nella storia, ma il fatto che tu ci voglia entrare, ascolta, ti do un consiglio, se vuoi entrare in quel giro, devi conoscere le persone giuste, sono in pochi a decidere realmente chi deve entrare in una storia, gli altri sono solo approfittatori che al massimo ti fanno apparire in qualche sogno che poi verrà perso, sai quanti ne ho conosciuti!?
Ketty: ma dai! Allora anche tu sei un’aspirante P.F.!
Marta: lo ero, ma adesso non ci penso più, ho capito come vanno le cose e ho deciso di cambiare vita e, comunque non mi lamento, il bar è sempre stato il mio secondo sogno e adesso sono riuscita a realizzarlo!

…dopo quelle parole entrarono dei clienti e il nostro discorso si interruppe. Mi chiese di tornare, e passai il giorno seguente a convincere il mio capo che stavo seguendo un caso importante e che avrebbe dovuto tenermi sotto copertura. Per fortuna i miei ultimi articoli avevano avuto tutti la quinta pagina e così decise di assecondarmi per una settimana,avevo sette giorni per mettere sulla sua scrivania un fascicolo interessante, per non essere sbattuta fuori dal giornale. Preparai un falso curriculum che poi è quello che facevano tutti gli aspiranti P.F. , m’inventai un passato da pubblico degli spot (chi va a notare una persona in una folla in uno spot da mezzo minuto), e così iniziai la mia nuova vita da aspirante Personaggio Famoso. L’amicizia con Marta divenne tale che iniziammo a vederci nei suoi giorni liberi, mi presentò una sua amica, Laura Collodi, che tra le altre cose figurava nella lista di Flash, e mi rivelò che era una donna magica, fu a quel punto che decisi di rivelare la mia identità, dopotutto non riuscivo mai a parlare di qualcosa di interessante che potesse servirmi e, cosa più importante, mancavano solo due giorni alla consegna del dossier, così chiamai Marta, le dissi che volevo incontrarla e le raccontai tutto…

Marta: ma io so tutto!
…a quel punto divenni bianca e rossa e di qualche altro colore che era sconosciuto anche
all’arcobaleno…
Ketty: come sai tutto?
Marta: dovevi informarti, le donne magiche possono leggere il pensiero, non tutte, ma io si!
Ketty: e perché non mi hai detto niente?
Marta: perché ho visto che lo stai facendo per un motivo valido, non è solo per lo scoop, ma per provare a cambiare il sistema, il problema è che il sistema potrebbe essere troppo radicato per cambiarlo adesso!
Ketty: ma io sono sicura che qualcosa si può fare, se non sbaglio ci sono altre tre donne magiche che fecero i provini per delle grosse storie quando hai iniziato tu!
Marta: in realtà eravamo in quattro, io, Laura Collodi, Gina Rodari e Dorothy Disney!
Ketty: Dorothy? La tua socia del bar?
Marta: si proprio lei!
Ketty: perché non proviamo a riunirle tutte, parliamone vediamo cosa si può fare!
Marta: non penso, nessuno ha più voglia di lottare, lo abbiamo fatto per anni, l’ultima volta in cui mi sono rimessa in gioco è stato qualche settimana fa, ma è stata l’ultima volta!

…in quel momento ebbi un flash, Marta Grimm, le sue iniziali erano M.G. come quelle del
giornale…

Ketty: ma allora non è stato un errore!
Marta: no! Avevo vinto io, ma alla fine è successo il solito impiccio!
Ketty: ti prego Marta, pensaci, pensa a tutte le ragazze che verranno a Favola City con dei sogni come quelli che avevate voi, fatelo per loro, date loro un futuro fatto di possibilità vere!
Marta: proverò a chiamare le ragazze e vedremo, ti chiamo domani e ti saprò dire!
Ketty: vedi! Non è mai detta l’ultima parola!
Marta: a dire il vero mi ha convinta un’altra cosa!
Ketty: cosa?
Marta: quando sei entrata pensavi solo al tuo dossier per dopodomani, ma mentre cercavi di convincermi lo hai eliminato del tutto dalle tue preoccupazioni e hai pensato a tutte quelle ragazze che ogni giorno arrivano qui!
Ketty: ma leggi tutto quello che penso?
Marta: solo quello che mi riguarda!

…andai via fiduciosa che avrebbe fatto di tutto per convincere le ragazze, aveva ancora voglia di provare a tutti la sua bravura e, questo l’avrebbe spinta a rimettersi in gioco. Dopo una notte a guardare le ultime novità in televisione, mi svegliai al trillo del telefonino, era Marta, aveva convinto le ragazze e, ci saremmo viste a casa sua alle otto di sera. Quando entrai mi ritrovai davanti quelle che potevano essere definite cinque normalissime casalinghe e che niente sembrava avessero a che fare con il mondo sfavillante di Story Town, Marta mi aveva detto di mettermi un cappello e sotto di esso un foglio di carta velina (non potevano leggere il pensiero attraverso la carta velina), così sarei stata libera di pensare qualsiasi cosa senza sentirmi in imbarazzo, anche perché la prima cosa che notai e che tra le cinque, la più carina (per modo di dire) era proprio Marta… …Continua!

Polvere di pozione

Milioni di anni fa, nell’universo, c’era un omino che trasportava una pozione magica in giro per i mondi. La pozione serviva ai piccoli per diventare grandi e forti. L’omino era l’unico a conoscere il luogo in cui si trovava la fonte di questa pozione, e la sua famiglia, si tramandava il segreto da sempre.

Quel giorno l’omino era leggermente triste, questo perché era il suo ultimo giorno di lavoro,infatti, dal giorno successivo, il giro della pozione magica lo avrebbe intrapreso suo figlio. Quella sera, in casa dell’omino, le raccomandazioni furono tante, soprattutto quella di non distrarsi durante il trasporto. Ma, come accade anche sul nostro pianeta, i giovani si fanno trasportare dall’entusiasmo e, dietro l’angolo, si prepara a comparire il destino avverso. Il giovane “pilota” stava tornando dalla fonte e aveva già compiuto tre consegne senza problemi, ma, proprio questa sicurezza, lo mise nei guai. Mentre usciva da un mondo fatato, usando una porta magica, si scontrò con una navicella spaziale che trasportava polvere di stella.

Per fortuna nessuno si fece male, ma una botte di pozione ed un secchio di polvere, caddero formando una lunga scia luminosa, provarono in tutti i modi a cancellarla, ma non riuscendoci, non poterono fare altro che coprirla con uno strato di cielo nuovo.

Dopo qualche giorno però, la scia luminosa ricomparì e non andò più via. Saputo dell’accaduto, l’omino decise di chiamare quel pezzo di strada stellare, via Lattea (nel suo dialetto, Lattea significa Mamma). In questo modo, ogni qualvolta il giovane fosse passato di lì, si sarebbe ricordato dei consigli, preziosi, della madre. Con il tempo, all’interno della via Lattea, grazie ai poteri magici della polvere di stella e della pozione, iniziarono a formarsi dei mondi. La stessa via Lattea, divenne come un grande contenitore (a dire il vero, assomiglia ai nostri frigoriferi) che aprendosi da un lato, faceva uscire i suoi abitanti. L’interno della via Lattea era ed è più freddo, questo perché i suoi abitanti, hanno bisogno di un clima fresco.

Uno dei primi mondi a formarsi e che è possibile incontrare, è quello di Intero, che è il più vecchio, ma anche il più avanzato. I suoi abitanti vivono in alti palazzi e, la loro occupazione principale, è quella di spedire la Pozione in tutto l’Universo. Alcuni abitanti di Intero, nascono con una sorta di rubinetto al lato, che dà loro la possibilità di erogare pozione magica. Altri mondi sono Vasetto e Delatt, il primo creato da vecchi abitanti di Intero, altri da giovani che si sono riuniti per andare contro le regole.

Autore: Max Spera
Illustrazioni: Nicola Lisci
Copyright 2007

Progetto

Questa storia è stata sviluppata per un progetto multi-livello per raccontare il latte ed il suo “produttore”. Questa prima, è la base dalla quale far partire altre storie a puntate.

La vera storia dell’orologio

…È una bellissima giornata di sole e un ragazzino si avvicina, triste, ad una panchina e mentre sta per sedersi vede che, intenta a leggere un libro, c’è la vecchietta cantastorie…

Ciao vecchietta cantastorie!

…e la vecchietta…

Ciao Pino! Cos’hai, ti vedo giù di morale!

È che mentre stavo correndo ho guardato l’orologio ed ho visto che si è rotto!

…la vecchietta accenna un sorriso e dice…

L’hai sentito gridare?

…e Pino che non si aspettava una domanda del genere esclama…

Cosa?

Se l’hai sentito gridare?

Ma certo che no! È solo un orologio! Non può gridare!

Ne sei sicuro?

…ribatté la vecchietta…

Certo che ne sono sicuro!

…allora la vecchietta chiude il libro che stava leggendo e si avvicina a Pino dicendo…

Adesso ti racconto la vera storia degli orologi, vuoi?

Certo che voglio, le tue storie sono bellissime!

…così la vecchietta inizia il suo racconto…

Tanto, tanto tanto tempo fa, non esistevano gli orologi, ed il tempo di una giornata veniva scandito dal sorgere e dal tramontare del sole, ma molti si distraevano e non tenevano conto del passare del tempo, e così c’era sempre chi arrivava o troppo presto, o troppo tardi, e poi nei giorni tempestosi le nuvole coprivano il sole e tutto si complicava ancora di più.

Stanco di tutto questo caos, un mago iniziò a costruire uno strumento che potesse contare il trascorrere del tempo.

Dopo tanto lavoro il mago presentò al suo popolo l’horologium, era bellissimo, era alto, biondo e con gli occhi azzurri, proprio come un vero principe, tutti rimasero stupiti quando lo videro e subito vollero vedere come funzionava, il mago lo accese e lui subito iniziò a scandire il passare del tempo esclamando con la sua voce possente, “sono le otto del mattino”, la folla scoppiò in un ovazione e tutti ringraziarono il mago.

L’horologium per girava per il paese scandendo il tempo, e nessuno più arrivava in ritardo agli appuntamenti, ma come si sa, dopo un poco i pareri cambiano e dopo qualche tempo il popolo iniziò ad odiare l’horologium, perché lui girava sia di giorno che di notte per il paese, gridando in continuazione l’ora esatta, non facendo, di conseguenza, dormire le persone.

Allora il mago modificò la sua invenzione, così che avrebbe detto l’ora, solo a chi glielo chiedeva, ma dopo poco anche questo cambiamento non ebbe successo, infatti chi era lontano da lui, non poteva sentire l’ora esatta, allora il mago cambiò ancora l’horologium e lo mise nella piazza del paese, ma il popolo ancora non era contento, anche perché, nato per parlare, all’horologium non gli andava di stare zitto, e così ogni tanto iniziava a gridare l’ora anche se nessuno gliela chiedeva.

Allora il mago lo riportò a casa sua per cambiarlo ancora, ma l’horologium arrabbiato gli disse,”mi hai già tolto la possibilità di andare in giro per il paese, e adesso vuoi togliermi anche la voce”?, il mago gli disse che non dipendeva da lui, e che se avesse fatto questo sacrificio lui sarebbe rimasto sempre accanto a lui per aggiustarlo e per fargli compagnia, e che con una magia gli avrebbe dato la possibilità di parlare ancora, anche se la sua voce, l’avrebbe potuta ascoltare solo il mago.

L’horologium accettò e così il mago cambiò totalmente la sua invenzione, ed al posto della faccia mise due lancette, che indicavano l’ora ed i minuti, lo ingrandì, e lo mise sul tetto più alto del paese, così che tutti potessero vederlo da ogni parte del paese, da quel momento l’horologium poteva dire solo tic e tac alternati al movimento della lancetta dei minuti.

Da quel giorno tutti gli abitanti furono felici ed anche se ogni tanto l’horologium si rompeva,il mago era sempre pronto ad aggiustarlo.

Col passare del tempo altri “orologi” furono costruiti e il mago rivelava il segreto solo a chi si sarebbe occupato di loro, il segreto è che gli orologi, nati per parlare, non riescono a stare zitti, e allora, ogni tanto, quando noi siamo distratti, loro gridano con tutta la loro forza facendo saltare gli ingranaggi che hanno dentro di se, e a noi tocca portarli da dei piccoli maghi che si chiamano orologiai, e che sono gli unici a poter sentire la voce degli orologi.

…il ragazzo non più arrabbiato si alzò dalla panchina e disse…

Grazie vecchietta, adesso porto subito l’orologio dal suo mago, così lui gli parla e lo aggiusta!

…la vecchietta contenta salutò il ragazzino, ma lui poi tornò indietro chiedendole…

Vecchietta, perché dopo mezzogiorno, l’ora cambia nome e si dice tredici, quattordici, io così non so mai che ora è!

Adesso ti insegno un trucchetto…

…disse la vecchietta…

…quando l’orario diventa a doppia cifra, tu togli sempre due unità alla seconda, ad esempio, se sono le sedici, togli due unità al sei, sei meno due è uguale a quattro, e questo è l’orario preciso, cioè le quattro.

Se per caso, sono le diciannove, fai nove meno due, è uguale a sette, allora sono le sette.

Quando poi inizia con il venti, conta da dieci, per esempio, se sono le venti, zero, che è dieci, meno due fa otto, o ancora se sono le ventitré, tredici meno due undici, allora sono le undici! Hai capito come funziona?

Grazie vecchietta, adesso ho capito, ora posso leggere l’orologio anche con le due cifre, grazie!

…e così il ragazzo andò via contento e la vecchietta, felice per lui, ritornò a leggere il libro.

TABELLA

OreSeconda cifraMeno 2Orario
13 (le tredici)311 (l’una)
14 (le quattordici)422 (le due)
15 (le quindici)533 (le tre)
16 (le sedici)644 (le quattro)
17 (le diciassette)755 (le cinque)
18 (le diciotto)866 (le sei)
19 (le diciannove)977 (le sette)
20 (le venti)0 (che è uguale a 10)88 (le otto)
21 (le ventuno)1 (che è uguale a 11)99 (le nove)
22 (le ventidue)2 (che è uguale a 12)1010 (le dieci)
23 (le ventitré)3 (che è uguale a 13)1111 ( le undici)
24 (le ventiquattro)4 (che è uguale a 14)1212 (le dodici o mezzanotte)

Fine

2005

Illustrazioni originali

by: Nicola Lisci


Grazie a:

London Mums Magazine

Grazie a Monica Costa nel 2014 ho avuto la possibilità di collaborare e pubblicare con il magazine londinese.
–> leggi

Velluto blu


Il libro era lì, lasciato aperto sulla poltrona di velluto blu che riceveva il raggio di sole dalla finestra aperta sulla scogliera, le pagine ondulavano indecise sotto il soffio della brezza calda e sottile. Forse fu l’indecisione delle pagine a farmi venir voglia di prenderlo e leggerlo, forse la voglia di sentirmi per un istante chi poco prima si era seduto in quel posto, per condividerne il viaggio fatto di pagine ed inchiostro, trasformandomi nel suo compagno “sconosciuto” d’avventura. Di certo non avrei mai pensato di poter vivere quell’istante, in quel momento, in quel luogo…dopo tutti quegli anni. Le pagine sinuose sembravano un richiamo di sirena, dove il canto ammaliante si trasformava in quelle mezze parole nascoste nel movimento, come: madre…fuoco…strada o ma…man…mani!


La sedia era una vera e propria culla per i sogni, morbida, accarezzata dal sole, di un blu intenso che coccolava gli occhi, perfetta per perdersi in un libro. Prima di iniziare a leggere diedi uno sguardo veloce alle pagine e mi capitò la numero 14, scelta a caso contro la numero 57, la carta era di un bel ruvido e c’era odore di libro, di libro vero. Il passo che arpionò gli occhi diceva: “…avrei aspettato l’eterno se solo mi avessere detto che lei ci sarebbe stata alla sua fine, avrei distrutto ogni orologio al mondo per far ripartire il tempo dal suo nuovo sguardo, se solo mi avessero riportato il profumo dei suoi capelli”. Rimasi in silenzio, anzi…il mio cuore dimenticò di battere per qualche secondo. Aveva perso la sua amata? L’aveva tradita, era morta, avevano accettato un lavoro che li aveva portati a vivere lontani? Avete mai fatto questo gioco? Leggere un pezzo di un racconto senza guardare la copertina e cercare di indovinarne la storia…magari creandone una conmpletamente nuova.

Però quel pezzo di storia non era casuale nella mia vita, non poteva essere lì semplicemente per caso, perchè avrei potuto leggere mille altre frasi, avrei potuto trovare una foto o un disegno al posto di quelle parole. Decisi di non guardare la copertina e di immaginare la storia; chiusi gli occhi e lasciai che le mie lacrime scrivessero la trama sulla mia pelle e sul velluto di quella poltrona. Il velluto mi condusse alle sue gambe, ma quelle poche forme d’inchiostro mi fecero tornare alla mente il messaggio ricevuto pochi istanti prima da mia cugina, un messaggio carico di rabbia e di finta decisione, un messaggio che raccontava la fine di un amore per un semplice litigio, per una distrazione degli occhi che non avevano visto il pianto del cuore.

Come può un amore finire, semplicemente per un fraintendimento figlio dell’ego? Come può un immenso nato da due occhi, rimpicciolirsi e diventare punta di spillo, semplicemente per un diverbio delle labbra? Le mie mani presero il cellulare e risposero in modo diretto, senza pensieri o congetture, senza voler essere guru emozionale o poeta domenicale…le mie dita si mossero senza controllo sullo schermo ed il pensiero inconscio si trasformò in: “sapessi quanto darei per poterci litigare una volta ancora, poterne guardare gli occhi che mi odiano, il corpo che mi minaccia, le vene di quel collo morbido e lungo gonfiarsi e rivederci la passione che improvvisa ti assale durante il giorno…sapessi cosa darei
per tornare indietro e addormentarmi una volta ancora nel suo alito notturno”.

Chiusi gli occhi, di nuovo, e provai ad immaginare il racconto del libro, vidi l’immagine di una
donna che passeggiava in riva al mare, mentre dietro di lei una casa con le finestre spalancate lasciava sventolare le sue tende dando alla stessa la forma di una ballerina, quasi come se la casa volesse prendere il volo come in un cartone animato di Miyazaki. Nella stanza il corpo nudo di un ragazzo che dormiva o forse pensava, e qualche libro sparsi sul letto in modo disordinato tra le lenzuola che a tratti erano stropicciate e in altri punti erano perfette nelle loro linee precise…ed un gatto che dormiva con la testa sulla scarpa di lui. Lei è ferma; mentre le onde le accarezzano i piedi quasi a confortarla visto che il viso donava gocce al mare…forse il mare raccoglieva le sue lacrime per portarle via il dolore…forse le trasportava lontanto dove il suo vero amore viveva e stava sognando di lei. All’improvviso qualcuno mi chiamò e mi disse che la persona che aspettavo per il pranzo si scusava ma non sarebbe venuta. Anche questa volta non riuscirò a vederla, pensai, non avrò l’occasione per guardarla negli occhi e capire se c’è ancora un accenno di fiamma nei suoi sogni, se ancora le sorridono gli occhi quando mi guarda.

Altri mesi passeranno e nessuna domanda avrà risposta. Ci eravamo ripromessi che nel caso ci fossimo trovati in una situazione del genere, ci saremmo dovuti incontrare nel nostro ristornate preferito il 14 del mese per pranzare insieme, ma 6 mesi erano passati senza un incontro. Quanto devastante l’ego può diventare, quanto invalicabile un dolore può sembrare, ed ora, mi trovavo da solo in mezzo a tutta questa gente, a pensare che avrei potuto aspettarla in eterno se solo avessi saputo di trovarla alla sua fine. Decisi di non guardare la copertina di quel libro, decisi che non avrei aspettato il 14 del prossimo mese e decisi che non avrei aspettato l’amore, perchè dell’ amore nessuno ha mai capito nulla,
perchè se poeti continuano a scrivere poesie e scrittori continuano a raccontare storie, è
semplicemente perchè l’amore non lo sa spiegare nessuno…forse perchè l’amore, quello vero, si mostra nelle notti senza tempo dove gli occhi di chi ama si incantano alla vista del proprio amore che dorme, si mostra nell’impossibilità di dire a parole quello che l’anima prova ad esprimere con i brividi di cuore.

In quel momento decisi che l’amore sarebbe stata la mia bottega e io ne sarei diventato l’artigiano in grado di costruirlo mettendo insieme Tempo, Sogni e Ricordi, utilizzando i brividi per tenere incollati i muri di quella casa sul mare che sapeva regalare pianti di gioia per la meraviglia dei nostri momenti insieme, che presto…sarebbero diventati di noi tre.

1.10.1

Una goccia di stella

“C’era una volta una piccola goccia di nome Blu che viveva nelle profondità marine, dove tutte le gocce nascono. Mancava poco alla prova de “il grande salto” che lo avrebbe reso adulto; sarebbe salito fino al limite del cielo, avrebbe toccato il cosmo per poi ricadere sotto forma di pioggia e dimostrare il suo coraggio.

Blu aveva paura di questa prova, perchè sapeva che alcune gocce non avrebbero mai fatto ritorno a casa, ma più di tutto, non voleva diventare adulto e magari dover smettere di giocare. Conoscendo la verità, la mamma lo abbracciò forte e gli disse: ” Non devi aver paura di crescere, perchè la felicità non ha età”.

Blu partì insieme ai suoi amici verso la superficie del mare, attraversando le branchie delle immense balene, i denti del temuto squalo bianco e le ventose dei simpatici polpi. Una volta sulla superficie marina, il grande caldo trasportò Blu e le altre gocce fino ai confini del cielo. Vedeva il mare allontanarsi ed iniziò ad aver paura di non riuscire a tornare indietro dalla sua famiglia. Arrivato sulla coperta di soffici nuvole bianche che contornano il mondo, Blu si allontanò il più possibile dal limite per non dover tornare subito giù.

A quel punto si fece notte e la luna, nel suo dorato splendore, iniziò a svegliare le sue figlie stelle che ancora dormivano. Blu si girò attratto dalla luce dietro di lui che appariva sempre più intensa e così, con la faccia meravigliata; scoprì l’Universo. Mentre guardava stupito quello spettacolo straordinario, una stella si svegliò proprio davanti ai suoi occhi.

Blu la guardò negli occhi e sentì il suo cuore battere forte. Con un filo di voce le chiese: Come ti chiami?” la stella rispose: “Light”. In quel preciso istante Blu divenne adulto; aveva scoperto l’amore. Blu e Light passarono la notte a parlare e ad innamorarsi sempre di più, raccontandosi le meraviglie dei loro mondi. Il sole disse alla luna e alle stelle che era arrivato il momento di andare a dormire, Light chiese a Blu di aspettarla fino alla notte successiva e lui promise che lo avrebbe fatto. Light si addormentò con il sorriso sulle labbra.

Blu tornò sulle nuvole, senza accorgersi che la nuvola si stava muovendo e che da lì a poco lo avrebbe fatto diventare pioggia. Blu si accorse che stava cadendo, ma il suo volto era rivolto al cielo; non aveva più paura di perdersi sulla terra invece di cadere in mare. Un gabbiano lo vide e sentì il suo amore per Light, così lo prese sulla sua ala e lo portò al sicuro nel mare.

Quella sera, dalla superficie del mare, Blu vide Light apparire nel suo splendore dorato. Quando lei si accorse che il suo amato non era lì, iniziò a piangere, allora Blu provò ad urlare il suo nome, ma lei non poteva sentirlo perchè era troppo lontana. Disperato, Blu provò a parlare con il cuore e Light finalmente sentì la sua voce.

Light e Blu erano disperati, sapevano che non sarebbero più riusciti ad incontrarsi, allora Blù parlò al cuore alla madre di tutte le stelle, la luna, chiedendole di lasciar andare sua figlia. La luna sentì l’amore immenso che avvolgeva i due e così acconsentì a far volare Light verso l’oceano. La stella oltrepassò il velo argentato del mondo e si trasformò in una goccia. Una nuvola la prese e la portò tra le braccia del suo amore. In quell’istante Blu si ricordò delle parole della madre: “Possiamo essere felici anche da adulti, seguendo i nostri sogni e riempiendo ogni nuovo giorno con la magia più potente mai creata, l’amore”.

Fine

Autore : Max Spera
Illustratrice: Francesca Noya

Progetto

Il libro vuole essere un momento di condivisione creativa tra l’autore ed i lettori.
All’interno delle pagine, saranno presenti pagine vuote in grado di ospitare lo spunto creativo del singolo lettore.

Dal punto di vista economico, il libro può diventare uno strumento di comunicazione importante visto che la personalizzazione renderebbero il libro non più un oggetto ma un ricordo da tenere.

Prototipo

Progetti dei lettori

Parlami con gli occhi

Ore 8:00, Philadelphia, Ospedale Maggiore.
Il dottore esce dalla sala delle ecografie con il referto in mano, i corridoi
sembrano deserti, ma ogni tanto si incontra qualche persona che passa e che
il tiepido sole pomeridiano illumina attraverso i finestroni laterali
dell’ospedale. Il dottore ha l’aria pensierosa, le sue rughe sul volto si
raggrinzano, e poco prima di aprire la porta che da nella hall, tira un sospiro
per trovare un pò di concentrazione e, allo stesso tempo, calma. Entrato, da
uno sguardo in giro e si avvicina ad una giovane coppia…
Dott.: Trevor, Susan, vi devo dire una cosa, sedetevi!
I due, intuendo la gravità della situazione dal tono di voce del dottore, si
siedono e si prendono per mano, stringendosi in una morsa che in altre
circostanze avrebbe fatto gridare quanto meno al fastidio…
Trevor: c’è qualcosa che non va al bambino!
Dott.: si, ma non è un problema che riguarda il parto!
Gli occhi della donne iniziano ad inumidirsi, le labbra poco alla volta
iniziano a muoversi sotto una spinta spasmodica ed incontrollabile, il fiato si
spezza e ci vuole un lungo respiro per ritornare ad una respirazione
normale…
Trevor: ci dica tutto!
Dott.: il vostro bambino nascerà videoleso!
….
Dopo dieci anni
Susan: io penso che possiamo fare questo passo, dopo tutto è ancora piccolo
e di sicuro incontrerà nuovi amici, anche la psicologa ha detto che ce ne
sono pochi di ragazzi come lui che subito fanno amicizia!
Trevor: lo so, il mio dubbio è che adesso qui ha tanti punti di riferimento e si
può muovere liberamente, lì dovrà ricominciare tutto daccapo!
Susan: beh! Allora meglio iniziare subito piuttosto che aspettare che si
faccia più grande!
Trevor: facciamo due liste! Una delle cose positive, l’altra di quelle
negative!
Susan: ottima idea!
Dopo qualche ora i due arrivarono alla conclusione che il trasferimento
avrebbe giovato sia a loro figlio che a loro, un posto con molto più verde e
spazio all’aperto dove giocare, dove avrebbe avuto una dimensione attorno a
lui più familiare, rispetto al caos della città…
Dopo qualche mese…
Trevor: adesso puoi iniziare a muoverti e prendere i tuoi riferimenti, la
cucina, la tua stanza e la nostra sono uguali, ma qui tutto è più grande e hai
più spazio per muoverti, poi se esci fuori allora non hai confini, il giardino è
immenso!
Il tempo passa, e Nathan si inserisce facilmente nel gruppo scolastico e del
paese, tutti lo conoscono e tutti lo coccolano, e da quando ha iniziato la
nuova scuola ha stretto una forte amicizia con Kriss, un ragazzo che abita
poco distante da casa sua. La sua vita scorre felice e tranquilla come se
niente e nessuno potesse intaccare quel periodo idilliaco, ma la crescita
porta a farsi domande sempre nuove e Nathan sente di non essere completo,
ci sono delle cose della sua situazione che non riesce a superare, nonostante
il fatto di essere videoleso non comporti alcuna forte restrizione a quella che
è una vita regolare. Manca poco più di un mese ai sedici anni di Nathan e,
lui ed il suo amico si trovano in veranda ad ascoltare musica…
Nathan: Kriss tu quanto pensi di essere fortunato?
Il ragazzo si desta quasi da un mezzo torpore e sviato dalla domanda a
bruciapelo risponde un po claudicante…
Kriss: io! Penso di essere molto fortunato e, comunque gia solo per il fatto
che posso vedere, non riuscirei a sentirmi sfortunato!
Nathan: quando sei vicino a me! Ma io vicino ad un ragazzo che non ha le
gambe e non può camminare, mi sentirei fortunato!
Kriss: allora dici che è tutto relativo?
Nathan: certo! Io non vedo, ma ascolto e sento delle cose che voi nemmeno
immaginate!
Kriss: questo ti da la possibilità di vivere comunque una vita quasi normale!
Nathan: quasi! Certo ogni volta che devo riempire un bicchiere devo fare
attenzione, ma quando ti abitui, tutto diventa più facile, però non mi hai
risposto, tu, quanto ti senti fortunato?
Il ragazzo iniziò a provare una sorta di disagio e sentendo di non poter
mentire al suo amico cercò di sviare alla domanda…
Kriss: ma perché me lo chiedi?
Nathan: perché vorrei mi facessi un piacere!
Kriss: ma certo, sai che non ti direi mai di no!
Nathan: ma questa è una cosa diversa!
All’improvviso Kriss si accorse che la voce di Nathan si era fatta più seria e
così accostò la sua sedia a quella dell’amico…
Kriss: dimmi!
Nathan: sai, da quando sono nato, non mi è mancato mai niente, dopotutto
non posso dire di aver accettato il fatto di non vedere, per me è la normalità.
Però c’è una cosa che sento che mi manca una cosa che non potrò mai avere
e che è l’unico vuoto che ho in questo momento della mia vita. Vorrei che tu
mi aiutassi a vedere una cosa che io non potrò mai vedere, ma che ho voglia
di capire. Io posso sentire il sole, posso immaginare la sua forma, ma non
vedrò mai il suo colore, allo stesso modo io posso ridere, piangere, ma non
vedrò mai le emozioni. Vorrei che tu mi raccontassi la gioia, la paura, il
sorriso di un momento felice, sento sempre delle persone dire: “ ridi con gli
occhi”. Cosa significa? Pensi di potermi aiutare?
Kriss: beh! Io ci posso provare! Non so se ne sarei capace!
Nathan: ti dico io come devi fare!
Kriss: cioè?
Nathan: ti insegno un piccolo segreto, quando devi rivivere un’emozione,
quando devi ricordare una cosa, chiudi gli occhi, concentra la tua mente solo
su quello che è il ricordo. Tutto scorrerà a rallentatore, e potrai carpire i più
piccoli dettagli!
Kriss: così, su due piedi è un po’ difficile!
Nathan: allora lo facciamo quando ti senti pronto, appena ne sei convinto!
Kriss: è meglio, così mi preparo mentalmente!
Nathan: comunque grazie!
Kriss: ma smettila, lo faccio con piacere!
I due amici ritornarono ad ascoltare la musica facendosi coccolare dal sole
caldo e morbido. Quella sera il sonno di Kriss venne interrotto più volte da
un peso che gli bloccava il respiro, il ragazzo si affacciò alla finestra, tirò su
le spalle per prendere più aria possibile e rilasciò la stessa abbandonando
tutto il suo corpo ad un’espirazione violenta. Dopo aver dato la colpa di
quell’accaduto al caldo, ritornò nel suo letto e finalmente riuscì a dormire.
Passarono altri cinque giorni dalla richiesta del suo migliore amico, ed ogni
notte il senso di soffocamento tornò a trovarlo, a quel punto Kriss pensò che
era dovuto al fatto che non si decideva a esaudire la richiesta che aveva fatto
a Nathan, e così il pomeriggio seguente iniziò il suo racconto attraverso gli
umori umani.
Come suo solito, entrava in casa senza nemmeno bussare, ma dicendo
direttamente…
Kriss: sono Kriss, dove siete?
Susan: ciao Kriss! Io sono in camera, Nathan è in giardino sotto la quercia!
Kriss: grazie! Lo raggiungo!
Dopo poco Kriss era vicino al suo amico, in una giornata di sole, seduti
sotto una grande quercia che lasciava scivolare tra i suo rami dei brillanti e
calorosi raggi di sole…
Kriss: …si! Adesso mi sento pronto!
Nathan: e qual è la tua prima emozione?
Kriss: io parto da quella che sento più vicina, il Disagio!
Nathan: davvero?
Kriss: si! È il disagio che ho provato quando tu mi hai chiesto questa cosa,
oppure quello che l’altro giorno ha provato Marilù in classe, quando non ha
saputo rispondere alla signorina Gurlich!
Nathan: infatti, è quello che dicevo io, sentivo il suo disagio, ma non
immaginavo come lo vivesse!
Kriss: all’inizio, quando tu mi hai chiesto di fare questo, ero rilassato,
completamente rapito dalla musica, poi quando mi hai chiamato, il mio
corpo si è leggermente destato, ma niente di più, ad un certo punto, la tua
voce ha cambiato tono, non lo so, ma hai usato un modo diverso di parlare,
se chiudo gli occhi, adesso sento il momento in cui mi sono accorto che mi
stavi per chiedere una cosa importante, è strano, ma l’ho capito un momento
prima che tu parlassi, in quell’istante il mio corpo si è come svegliato di
soprassalto, tutti i miei sensi si sono allertati, la mia concentrazione è
raddoppiata. Poi mi hai fatto la proposta e in quel momento ho provato un
disagio enorme. È incredibile, adesso vedo il mio corpo come ha reagito alla
tua richiesta, in quel momento non me ne rendevo conto. Ho provato a stare
fermo, ma non ci riuscivo, all’inizio ho spostato la sedia verso di te, per
ascoltare meglio, poi ho iniziato a muovere le mani e a girare gli occhi
guardando ovunque ma non fissando niente. È stato solo un attimo, ma ho
fatto più cose in quel momento che in tutte le ore che abbiamo ascoltato la
musica. In gola sentivo un qualcosa, come se la saliva non riuscisse a
scendere e, volevo dirti qualcosa, ma in realtà non pensavo a niente,
pensando a Marilù, anche lei, si sfregava le gambe l’una contro l’altra, hai
presente quando devi andare in bagno e non ce la fai più?
Nathan: si! Hehe ho capito…vai avanti!
Kriss: poi si mordeva le labbra e guardava tutti noi in cerca di una risposta o
di un minimo accenno che potesse toglierla da quella situazione, il più del
tempo ha tenuto lo sguardo basso e ad un certo punto ha iniziato a sfregarsi
le mani. Per tornare a noi, tutte queste sensazioni mi sono passate solo
quando mi hai detto che potevo prendermi il tempo che volevo, a quel
punto, sono tornato tranquillo, anche se, dopo poco sono andato in bagno a
fare pipì!
Nathan: hehe! Grazie, è proprio questo che volevo capire, anche io ho
vissuto quello che mi hai detto, ma alcuni dettagli pensavo fossero solo
miei…
Susan: …ragazzi venite! Ho preparato la torta!
I due si alzarono e raggiunsero la casa, Kriss si era tolto un peso e Nathan
adesso poteva vivere le emozioni attraverso gli occhi del suo amico, ma
questa era solo la prima, e presto i due, sarebbero tornati a scandagliare e
sminuzzare le emozioni degli uomini e di loro stessi. Il giorno seguente
Kriss tornò dal suo amico, la notte era passata tranquilla e senza affanni,
questa volta Nathan si fece trovare in soffitta, dove con cura riponeva i suoi
libri speciali all’interno di una cassa, la soffitta era grandissima, prendeva
tutto il tetto della casa, per lo più era vuota, ma Nathan si era creato un suo
spazio dove teneva i suoi libri scritti in brail e dove ogni tanto gli piaceva
addormentarsi…
Kriss: Nathan! Dove sei?
Nathan: qui, vicino ai libri!
Kriss: questa soffitta è enorme, ne avessi una così ci andrei ad abitare!
Nathan: beh in realtà qui ci sono quasi solo cose mie, di conseguenza potrei
dire che è casa mia!
Kriss: più o meno! Ascolta, so quale emozione raccontarti e, visto che stai
mettendo a posto i tuoi libri, è anche abbastanza a tema!
Nathan: cioè?
Kriss: tu ci tieni ai tuoi libri?
Nathan: che domande, certo!
Kriss: oggi ti parlerò della Gelosia!
Nathan: hehe! Ma io non arrivo a quel punto!
Kriss: ma guarda che la gelosia, come tutte le altre emozioni hanno delle
sfumature, non è mai sempre allo stesso modo, e poi ogni persona ha il suo
modo di esternare!
Nathan: quindi mi stai dicendo che anche se tu mi racconti le emozioni, non
potrò mai essere certo di quello che sta facendo la persona che ho di fronte!
Kriss: beh! Sicuramente avrai un’idea molto precisa della situazione
generale, ad esempio, quando ti ho detto dell’imbarazzo, Marilù strofinava
le gambe, io invece muovevo le mani, però la sensazione di disagio, quella
interiore è la stessa!
Nathan: raccontami la Gelosia!
Kriss: secondo me la gelosia è un misto di emozioni, al suo interno ci sono
tante cose, qualche tempo fa Anny pensava che Bill volesse lasciarla ed è
venuta a casa mia per dirmelo, i suoi movimenti erano frenetici, non si
fermava un secondo, la sua faccia aveva dei cambiamenti assurdi, in un
momento sembrava che stesse per scoppiare a piangere, il volto si inarcava
verso il basso, la bocca puntava verso il basso, gli occhi si serravano e la
pelle della fronte si raggrinziva solo al centro, questa secondo me è la parte
della gelosia più vicina alla paura, anche perché si può essere gelosi solo se
si ha paura di perdere una cosa. L’altra sensazione invece portava Anny a
reagire, le sue mani ed i suoi movimenti si facevano più decisi, la sua bocca
serrava i denti e le narici del naso si allargavano, gli occhi da socchiusi, si
spalancarono e la sua voce da roca e rotta si fece decisa e potente, questa è
la parte della gelosia che più si avvicina alla rabbia!
Nathan: quindi tu pensi che sia un misto!
Kriss: beh io in realtà credo che ci sia anche un’altra cosa, un pizzico di
disagio, perché, come nel caso di Anny, lei viveva queste sensazioni, ma in
realtà non sapeva se erano fondate, perciò ogni tanto si fermava e mi
guardava come a chiedere conferma!
Nathan: e tu come ti sentivi in quel momento?
Kriss: io non aspettavo altro che finisse, in realtà sapevo benissimo che Bill
non voleva lasciarla e quindi aspettavo solo la fine di quella sfuriata. Adesso
che ci penso, restai per tutto il suo monologo con un sorriso appena
accennato sulle labbra, in alcuni momenti nemmeno ascoltavo quello che mi
diceva, a volte pensavo alla partita di basket altre volte alla torta della
mamma. La mia faccia assumeva delle espressioni in base a quello che mi
diceva Anny, se era preoccupata alzavo le sopracciglia e mi mostravo
preoccupato insieme a lei, se era contrariata, corrucciavo il volto
dondolando la testa a destra e a sinistra. In realtà volevo solo che smettesse,
e sicuramente il mio corpo era molto più rilassato del suo, infatti era sempre
rigido e spigoloso!
Nathan: grazie per le due emozioni che mi hai spiegato!
Kriss: due? Veramente è solo una!
Nathan: mi hai appena spiegato anche l’attesa!
Il ragazzo si fermò un secondo a pensare…
Kriss: è vero, ma non è del tutto così!
Nathan: no?
Kriss: ti ho spiegato un’attesa gioiosa, ma l’attesa può anche essere negativa
e, forse spiegandoti questa potrei farti comprendere le sfumature che ci sono
nelle altre!
Nathan: certo, ma adesso dobbiamo scendere, tra poco arriva mio padre, e si
cena!
Kriss: come fai a sapere che ore sono?
Nathan: l’annaffiatoio automatico in giardino parte mezz’ora prima che
arrivi mio padre e, mentre tu raccontavi, mia madre ha fatto cadere una
pentola!
Kriss: sei incredibile, io nemmeno me ne sono accorto, anzi, nemmeno lo
sento l’annaffiatoio!
Nathan: ogni tanto usa le orecchie per ascoltare, non gli occhi!
Dopo un poco i due erano giù insieme a Susan, la cena era quasi pronta e la
tavola apparecchiata per quattro…
Susan: ok! Ha detto tua madre che puoi restare, tanto dopo Trevor deve
uscire di nuovo!
Kriss: grazie!
Susan: io ho preparato un risotto con la zucca, se non ricordo male ti piace!?
Kriss: molto, mamma lo fa sempre!
Nathan: anche a me piace, ma non si fa quasi mai!
Susan: cerco di farlo quando trovo le zucche buone!
Kriss: noi ne abbiamo una scorta, c’è un mio zio che ce le porta direttamente
dalla sua fattoria!
Nathan: mamma, ma papà è in ritardo!
Susan: beh! Solo di dieci minuti, vedrai che adesso arriva!
I dieci minuti diventarono trenta e poi un’ora, a quel punto Susan iniziò a
preoccuparsi…
Susan: almeno avvertisse!
Nathan: il cellulare è ancora spento?
Susan: si…pensavo fosse irraggiungibile, ma è proprio spento!
Si avvertiva molta tensione in quel momento, l’attesa si faceva estenuante e,
cogliendo quel momento, Kriss si avvicinò all’orecchio di Nathan
sussurrandogli…
Kriss: senti? Questa è l’attesa, quella brutta!
Nathan: hai ragione, è diversa, ma ci sono delle cose in comune, cosa sta
facendo mia madre?
Kriss: ha le mani rosse, perché le sfrega in continuazione, i suoi occhi sono
spalancati, così da poter cogliere ogni attimo, ogni possibile segno. Guarda
in continuazione fuori dalla finestra, non fa passare nemmeno un minuto,
spesso ci guarda, come se volesse assicurarsi che non abbiamo la sua stessa
ansia, la bocca rimane serrata e i denti spingono sulle mascelle. Gli occhi in
certi momenti scrutano l’aria, forse sta pensando a cosa può fare per sapere
qualcosa che la tranquillizzi!
Susan: ragazzi, aspettate qui, è appena arrivato il marito della signora Rant,
vado a chiedere se ha visto qualcosa, loro fanno la stessa strada!
Nathan: vai mamma, ti aspettiamo qua!
Kriss: è quasi passata ad una fase di paura!
Nathan: non so perché, ma io sto tranquillo, immagino che abbia avuto un
contrattempo!
Kriss: anche secondo me, ma tua madre è veramente presa!
Dopo poco Susan torna in casa…
Susan: fiuuu! Che spavento! Tuo padre ha forato una ruota, e adesso è quasi
arrivato, quando il signor Rant gli è passato vicino aveva quasi finito e gli ha
detto di avvertirci!
Nathan: visto? Io lo sapevo che non era niente di grave!
Kriss: adesso conosci anche l’attesa, quella brutta!
Il risotto non durò molto e dopo un bel libro, Trevor portò Kriss a casa.
L’indomani mattina si rividero a scuola e Kriss sembrava provato, aveva
una faccia stanca e gli occhi appesantiti dal sonno, durante la pausa andò a
trovare Nathan…
Kriss: Nathan!
Nathan: Kriss! Che voce! Non hai dormito?
Kriss: per niente! Possiamo parlare?
Nathan: certo! Andiamo a fare un giro?
Kriss: si che è meglio!
I ragazzi si fermano nel giardino della scuola, vicino al campo da basket e
Kriss, con voce rotta, si lascia andare ad uno sfogo bagnato dalle sue
lacrime…
Nathan: dimmi tutto amico mio, ti sento davvero provato, cos’è successo?
Kriss: ieri, quando tuo padre mi ha accompagnato a casa, sono andato subito
a letto ed ho ripensato a quello che è successo, noi che aspettavamo tuo
padre, all’improvviso ho sentito una stretta al petto, come se qualcuno mi
stesse sopra e non mi facesse respirare, poi ho avuto un forte mal di pancia!
Kriss inizia a piangere tenendo stretta la mano dell’amico…
Kriss: poi dopo molto tempo sono riuscito ad addormentarmi, solo che ho
fatto un sogno incredibile, ero sotto le coperte, sentivo un frastuono venire
dal basso, poi iniziai a sentire dei passi, come se qualcuno stesse arrivando
davanti alla mia porta, e più i passi si avvicinavano e più io tremavo, iniziai
a piangere e a stringere forte le coperte tra le mie mani, all’improvviso la
porta si aprì e io mi misi a piangere forte, sempre di più, alla porta una
figura enorme, ma non riuscivo a vedere il volto, l’ultima cosa che ricordo e
che quell’ombra si avvicinava, a quel punto diedi un urlo incredibile. Poi mi
sono svegliato e quell’immagine non riesco a togliermela dalla testa, è come
se quell’ombra la conoscessi, ma non riesco a mettere a fuoco la faccia!
Nathan: secondo me è stato solo un brutto sogno, talmente reale da
sconvolgerti, ma è solo un sogno!
Kriss: non lo so, probabilmente hai ragione, ma allora perché solo al
pensiero mi viene da piangere?
Nathan: forse cercando di spiegare le emozioni a me, ne hai fatto un carico
troppo grosso anche tu, e in quest’incubo ti si è rivoltato contro tutto!
Kriss: potrebbe essere! Oggi non vengo da te, preferisco stare a casa, ma
appena sto meglio, riprendiamo!
Nathan: non preoccuparti!
La giornata dei due passò tranquilla nelle rispettive case e così le altre due
successive, fino a quando, dopo tre giorni, Kriss andò a casa dell’amico…
Kriss: sono io, c’è qualcuno?
Nathan: sto arrivando….eccomi! entra!
Kriss: come va?
Nathan: a me bene, e a te?
Kriss: meglio…andiamo sotto la quercia?
Nathan: si! Volentieri!
La quercia accoglie i suoi amici con la sua ombra e la sua pace…
Kriss: sai! Ho avuto altre visioni, anche se di intensità minore, ma quella
figura non mi lascia più!
Nathan: mi dispiace!
Kriss: perché?
Nathan: dopotutto è colpa mia se adesso vivi tutte queste sensazioni!
Kriss: all’inizio ti volevo uccidere, ma poi ho capito che mi hai fatto un
regalo immenso, adesso vedo le cose sotto un altro aspetto, quando guardo
una persona, o una situazione, sento delle emozioni, vivo l’attimo che loro
stanno vivendo!
Nathan: è così anche per me, io spesso sento i sentimenti, li vivo dentro di
me anche se non me li raccontano, io sento se una persona ha compassione
di me o se mi tratta come una persona normale, sento quando mia madre è
giù o è arrabbiata, ma faccio finta di niente, e quello che ho chiesto a te è
proprio un modo per riempire quel niente, quando qualcuno starà male, ma
me lo nasconderà, io potrò non solo sentire quella sensazione, ma viverla,
immaginando il volto, l’espressione!
Kriss: è molto importante per te?
Nathan: adesso si! In futuro non lo so se mi servirà!
Kriss: oggi volevo raccontarti la rabbia!
Nathan: quella che hai vissuto in questi giorni?
Kriss: si! È una sensazione molto forte, ti prende in un modo incredibile, ti
trasforma, in alcuni momenti non mi sentivo nemmeno me stesso. Quando
ho sentito la rabbia che prendeva il controllo di me, ho iniziato a sentire un
tremore per tutto il corpo, poi lo stesso si è irrigidito, sentivo i muscoli più
gonfi, il collo era pieno, teso, soprattutto sotto la spinta dei denti che erano
serrati. Le narici erano dilatate, anche perché il respiro era raddoppiato, ed il
cuore pulsava almeno il doppio, quando sono arrivato al culmine ho iniziato
a sentire il sudore sulla schiena e sulla fronte, dopo qualche istante, d’istinto
ho dato un pugno al cuscino, in quel momento ho sentito come un flusso che
mi attraversava il braccio, come se fosse stata una bottiglia d’acqua a testa
in giù, in quel momento la rabbia si è placata e poco alla volta il mio corpo è
tornato normale, a quel punto ho avuto la lucidità di capire cosa dovevo
fare!
Nathan: è un’emozione che conosco benissimo, e mi ci ritrovo in pieno,
quando ero più piccolo, spesso mi capitava di sbattere contro le cose in casa,
mi arrabbiavo in un modo esagerato, poi poco alla volta ho capito che se
invece di arrabbiarmi, avessi usato il cervello per contare i passi, sarebbe
stato tutto più facile, anche perché ero io ad andare a sbattere, i mobili e le
cose erano ferme, non mi venivano addosso loro. È vero, la rabbia ti offusca
la mente!
Kriss: è forse in quel momento che esce il tuo vero istinto, se sei calmo di
natura, in qualche modo ragioni e ti passa, ma se sei nervoso, allora la rabbia
può innescare un casino!
Nathan: adesso potrei parlarti io di un’emozione, dopo averti sentito parlare,
dopo aver scoperto che il difficile delle cose sta nel nostro non volerle
comprendere, oggi ancora una volta mi hai stupito!
Kriss: veramente?
Nathan: certo! Non solo hai deciso di darmi una mano in questo mio
viaggio, ma ti sei lasciato completamente andare alle emozioni tue e di chi ti
sta attorno. Quando racconti le emozioni, vivo le tue parole, ma riesci a
trasmettere le sensazioni delle persone che le hanno vissute, i tuoi occhi
adesso vanno al di là di una semplice lite, scrutano in fondo un sorriso e non
si soffermano solo su di un pugno chiuso!
Kriss: questo sconvolgimento non sarebbe mai nato senza la tua spinta
iniziale!
Nathan: ma sei stato tu a decidere, hai avuto tu il coraggio di guardarti
dentro e non aver paura delle emozioni!
Kriss: in effetti sai, quando dicono che gli uomini non devono piangere,
perché? Se un uomo sorride, perché non dovrebbe piangere?
Nathan: forse perché spiegare il pianto è più difficile e richiederebbe una
ricerca interiore troppo forte!
Kriss: ad ogni modo, adesso mi hai messo davanti lo Stupore. Se dovessi
cercare nella mia mente qualcosa che mi porti vicino allo stupore, dovrei
parlarti per forza dei regali di Natale!
Nathan: effettivamente deve essere bello poter guardare il pacco chiuso che
poi poco alla volta svela il suo contenuto!
Kriss: per un bambino e, non solo, è magico! Lo stupore potrebbe essere il
cugino della Gioia, ne ha la radice, ma non ne esprime subito la forza.
Ricordo che quando la mamma ci dava i regali, le labbra si allungavano in
automatico, gli occhi si spalancavano e guardavano immobili lo scatolo
davanti a loro, effettivamente si può dire che lo stupore ti rende un po’ la
faccia da idiota, anche se nel senso buono…
Nathan: …hehehe!…
Kriss: …haha! È vero! Ogni volta che c’è una persona stupita, puoi sentire il
suo essere bambina tornare a vivere!
Nathan: è un po’ come giocare!
Kriss: esatto! Lo stupore vive in chi sa ancora giocare, forse questa è la
chiave di lettura!
Nathan: quando la mamma prepara una torta, mi diverto sempre, è
bellissimo sentire gli odori e toccare i vari prodotti, e c’è qualcosa di magico
quando poi mischiandoli ne esce una torta, quando sento l’odore della torta
mi sento allegro, dentro è come se avessi dell’acqua frizzante, mi sento
irrequieto, ed è una sensazione che associo al mio stupore di vedere come
delle singole cose ne possano creare una tanto buona e profumata!
Kriss: è vero! È proprio così!
Nathan: ma a te, che torta ti piace?
Kriss: a me? Mmm…vediamo!…
…i ragazzi rimasero ancora a lungo sotto quell’immenso albero, e l’elenco
delle cose preferite passo dai dolci alle stagioni, dai libri alle pietanze. Visto
l’arrivo di un improvviso e lungo temporale, i due amici non riuscirono ad
incontrarsi per due giorni, durante i quali si dedicarono allo studio, ma al
terzo giorno, nell’ultima notte di temporale, Kriss ebbe di nuovo un incubo
incredibile. Erano passate le due, quando il ragazzo iniziò ad agitarsi nel
letto, poco alla volta l’agitazione divenne sempre più forte, le sue braccia
iniziarono a scagliarsi verso il soffitto, mentre la sua fronte iniziò a sudare,
pochi istanti e le coperte erano completamente ripiegate sul pavimento, le
sue gambe sembravano attorcigliarsi, si dimenavano con tutte le loro forze
come lo stesso facevano le braccia ed il busto, la bocca iniziò a digrignare e
poco alla volta delle parole appena accennate iniziarono a prendere vita,
dapprima il mugugnare si elevò di tono, poi un no deciso e ripetitivo, forte,
sempre più forte, fino a quando…
kriss: Noooooooo!
…tutto sudato e con il freddo nelle ossa, il ragazzo saltò dal letto e si diresse
verso la porta, tolse il fermo che la teneva chiusa, la spalancò e si proiettò
sotto la pioggia, iniziando a saltare sotto di essa, come per scrollarsi di dosso
un peso. La notte proseguì nella cucina, dove la mamma, dopo averlo aiutato
ad asciugarsi, gli preparò una tazza calda di camomilla. Lei provò a capire
cosa avesse visto il suo figliolo in quell’incubo, ma la bocca del ragazzo
rimase chiusa fino a quando, per la stanchezza, non si chiusero anche i suoi
occhi. Il mattino seguente la pioggia iniziò a dare i primi segni di cedimento,
solo in qualche sporadico momento riforniva le sue pozzanghere e, sempre
più spesso, i raggi del sole riuscivano a traversare le sporadiche nuvole.
Kriss e Nathan si incontrarono nel corridoio, all’intervallo…
Nathan: Kriss, sei tu?
Kriss: si! Come hai fatto?
Nathan: semplice! Profumo e portachiavi con il campanello!
Kriss: gia! Sai, ho avuto ancora degli incubi!
Nathan: ne vuoi parlare?
Kriss: no! Ma andiamo un poco nella soffitta della libreria, ti devo chiedere
una cosa!
Nathan: certo! Andiamo!
I due amici seguirono tutto il corridoio, scesero le scale e, oltrepassarono la
porta che dalla vecchia struttura portava ad un nuovo complesso di tre piani
nei quali erano posizionati una biblioteca, al secondo e terzo piano, ed una
sala internet al primo. Era una struttura nuova, arredata con materiali e
attrezzature moderne, anche se lo stile dell’edificio riprendeva le sembianze
di quello più vecchio, era una struttura accessibile anche dopo l’orario
scolastico e Kriss e Nathan ci andavano volentieri, anche perché avevano
trovato un modo, attraverso la scala esterna di sicurezza, di arrivare al
soffitto del terzo piano, lì dove erano custoditi manoscritti rovinati o oggetti
da utilizzare in fiere ed eventi. Anche questa volta avevano usato lo stesso
metodo, ed anche questa volta si erano ritrovati seduti sul parquet, sotto al
grande lucernario che dava la possibilità di godere della vista del cielo…
Kriss: devo chiederti un favore!
Nathan: certo, dimmi pure!
Kriss: spiegami la Gioia!
Nathan: cosa?
Kriss: ti prego, spiegamela, dimmi cosa senti, fin nei più piccoli dettagli!
Nathan aveva sentito un piccolo riverbero di sfida nella voce di Kriss e,
ricordandosi dell’incubo che aveva vissuto la notte prima, decise di non
contraddirlo…
Nathan: la Gioia! Se immagino la gioia, mi sento subito meglio, il mio corpo
diventa più leggero, la mia mente si apre e ogni pensiero diventa positivo, il
sorriso resta perennemente sul mio volto e spesso mi ritrovo a sorridere per
niente. Mi viene voglia di correre, di saltare, tutto pur di non stare fermo, nel
caso la gioia venisse da una bella notizia, l’impulso sarebbe quello di
raccontare tutto a tutti. Quando penso alla gioia, immagino la quercia del
mio giardino ed i raggi che mi scaldano mentre io mi sdraio lungo le
radici…
…Nathan aveva spiegato la sua emozione, ma, immerso nel suo racconto,
non si era accorto che il suo amico si era riversato a terra in un pianto di
dolore…
Nathan: …come ti è sembrata la mia spiegazione?
Non sentendo risposta, riprese il controllo dei suoi sensi, uscendo dal calore
del suo racconto…
Nathan: Kriss, ma stai piangendo!
Kriss: pensavo, che funzionasse…
Nathan: …cosa?
Kriss: che sentendoti raccontare la gioia, sarei riuscito a sentirne un poco
anche io, come capita a te quando lo faccio io, ma è inutile…
…alzando il suo tono di voce…
Kriss: è tutto inutile! Non esce più dalla mia testa!
A quel punto Nathan iniziò ad aver paura delle reazioni del suo amico, ma
non per la sua incolumità, quanto per l’impossibilità di aiutarlo nel caso
avesse avuto l’intenzione di correre via…
Nathan: kriss, ti prego, vieni qua e dimmi cosa ti affligge!
Kriss non riusciva a muoversi dal dolore, il pianto lo faceva stare male, lo
stomaco gli si attorcigliava dandogli la sensazione della pesantezza e del
soffocamento…
Kriss: non è giusto! Non doveva capitare tutto questo! Io non volevo! Non
volevo!
Nathan: seguendo la voce dell’amico lo raggiunse e riuscì ad abbracciarlo,
sentì il suo tremore, talmente forte da far tremare anche lui, allora iniziò a
massaggiargli le gambe e poi le spalle…
Nathan: cosa non volevi?
Kriss: questo, tutto questo…ed è tutta colpa tua!
Nathan: ma a cosa ti ho portato, cos’è che ti opprime!
Kriss ormai era in uno stato di quasi semi incoscienza, piangeva,
singhiozzava e parlava, ma tutto il suo corpo era come addormentato, non
rispondeva a nessuno stimolo e, nemmeno i massaggi di Nathan servivano a
qualcosa, accortosi di questo, l’amico non seppe fare altro che togliersi il
maglione per usarlo come coperta per Kriss. La pelle di Nathan si raggrinzì
all’istante, ma per fortuna c’erano dei raggi di sole che filtravano dal
lucernario e Nathan si trovava sotto uno di questi, mentre l’amico con
quanto fiato in corpo aveva gli rispose…
Kriss: questa, non la puoi vedere, ma la puoi sentire…la Paura, ti prende, ti
immobilizza, non ti da tempo di respirare per non dare ossigeno al cervello
per farlo pensare, ti rendi conto che non sei nulla, di quanto sei piccolo al
cospetto dell’universo e quanto sei breve innanzi al tempo del mondo. La
paura ti rapisce e non ti molla, è una morsa di dolore, è una catena che ti
stringe il petto. Non c’è rifugio, non c’è antro in cui lei non possa scovarti, è
talmente potente che potresti chiedere sollievo alla morte…
A quell’ultima frase Kriss si lasciò andare stremato, e prima di svenire disse
solo…
Kriss: …la paura è mio padre!
Nathan si accorse che l’amico era svenuto e con le mani percorse il suo
corpo in cerca del viso, quando lo ebbe tra le sue mani, l’istinto fu quello di
prenderlo a schiaffi, ma i primi due risultarono troppo deboli, allora dopo un
sospiro si fece coraggio e uso quasi tutta la sua forza. Kriss riprese
conoscenza, ma i due rimasero in silenzio per qualche minuto, un minuto in
cui nella mente di Nathan riecheggiò l’ultima frase di Kriss, la frase più
leggera che avesse pronunciato dopo mille gridate, ma la frase più pesante
che Nathan avesse sentito in tutta la sua vita. Dopo poco Kriss diede segni di
ripresa…
Nathan: come stai amico mio?
Kriss: bene amico mio, grazie, forse l’unico modo per vincere la paura è
affrontarla, e tu me ne hai dato la possibilità!
Nathan: ma cosa significa la frase che hai detto prima?
Kriss: ricordi la figura del mio primo incubo?
Nathan: si!
Kriss: è tornata anche nel secondo, e più si avvicinava, più la mia paura
cresceva, questa volta aveva mani, mani forti con cui mi picchiava, mi
stringeva, mi toccava, mani che non ho saputo sconfiggere, mani che avevo
dimenticato e sepolto in un angolo della mia mente. All’improvviso è caduto
un fulmine, e la luce ha illuminato quella figura. Era il volto di mio padre,
un volto che non ricordavo, un diavolo che non conoscevo!
Nathan era letteralmente sconvolto da quel racconto, il suo corpo si
avvicinò, lentamente al suo amico, il suo abbraccio diede calore a tutti e due
e le uniche parole che riuscirono ad uscire dalle sue labbra furono…
Nathan: è tutto finito! È tutto finito fratello mio!
Nei giorni successivi dei dottori e dei poliziotti si diedero il cambio nella
casa di Kriss, mentre nella casa di Nathan il silenzio era rotto da poche e
dirette parole…
Susan: non devi sentire nessun peso!
Trevor: il tuo potrebbe essere stato addirittura un aiuto!
Susan: naturalmente ci vorrà del tempo prima che tutto prenda una strada
normale!
Nathan: io vorrei capire come è possibile dimenticare tutto questo?
Trevor: il corpo umano è un miracolo meraviglioso, a volte riesce a
sopprimere automaticamente quello che ci darebbe più dolore di ogni altra
cosa!
Mentre si cercava una spiegazione per ogni dubbio, la porta si aprì, e la voce
di Kriss e sua madre si materializzarono…
Kriss: Nathan, sono io!
Nathan: Kriss, vieni!
I due si abbracciarono stretti come non avevano mai fatto e si diressero
insieme verso la quercia, mentre la mamma si trattenne con i due genitori,
mentre i ragazzi si allontanavano al di là della porta che dava sul giardino la
madre si lasciò andare in un racconto liberatorio, erano giorni che sentiva
racconti del figlio agli psicologi e non aveva ancora incontrato nessuno per
sfogarsi, uno sfogo coraggioso e forte , con la voce di chi non sapeva e che
lascia indietro il passato, pensando al futuro del figlio…
Irma: è incredibile, sotto il mio tetto, vicino alla mia stanza e non me ne
sono mai accorta! Forse perché non è capitato molte volte, o forse perché
tante volte quelle sfuriate le ho associate solo al vino o al whisky, non lo so,
davvero, non lo so. Poi la sua morte, il suo vizio lo ha condannato e con lui
si è portato anche il suo segreto…
Kriss: grazie! Senza di te non avrei cacciato fuori questo segreto oscuro, e se
solo sarebbe venuto fuori quando già fossi stato padre, come lo avrei
affrontato?
Erano passati molti giorni da quella rivelazione nella biblioteca e i due amici
non avevano ancora avuto modo di parlarsi…
Nathan: io non so…
Kriss: …fidati, mi hai liberato di un peso, sai, adesso penso che le emozioni
hanno tante sfaccettature, per quanto io te le possa elencare, non riuscirei
mai a fartele vivere tutte, però l’importante è sentirle dentro e, qualsiasi esse
siano probabilmente vale la pena viverle tutte, forse dopo la vita, le cose che
possiamo portarci dietro sono le emozioni ed i pensieri, le uniche cose che
non fanno parte del nostro corpo, anche se vivono dentro di esso!
Nathan: sono contento che tu abbia reagito a tutto questo, forse era l’unico
modo per uscirne!
Kriss: sai cosa mi ha fatto reagire? Una frase che mi hai detto quel giorno!
Nathan: quale?
Kriss: “è finita!”, quando ho sentito queste parole, ho visto come una luce
che mi illuminava, e ne sono venuto fuori!
Nathan: sono contento di questo, vuol dire che in quel momento ho capito la
situazione…
Kriss: e non hai avuto bisogno degli occhi per vedere come stavo! Tu sei
una persona fortunata, perché riesci a vedere con il cuore e, questo vale più
di mille occhi. Sono contento di averti conosciuto, fratello mio!
Nathan: anche io lo sono, fratello mio!
La quercia in quel momento lasciò filtrare più raggi del solito e lasciò cadere
qualche sua foglia così da poter toccare quell’infinito istante d’amore,
quando i due si slegarono dal loro abbraccio fraterno Kriss con un sorriso
accennato sulle labbra disse…
Kriss: io devo andare ancora a casa perché devono arrivare i dottori, ma tra
due giorni è la tua festa di compleanno e io non mi perderei la torta di tua
madre per nessun motivo al mondo!
Nathan: questa dovrebbe essere attesa buona, e sicuramente se potessi
vedere il tuo volto, adesso starei guardando un sorriso appena accennato,
come dire, una risata sotto i baffi!
Kriss: io? Ridere sotto i baffi? Mai!
Dall’alto delle sue fronde la quercia vide i due fratelli entrare in casa…
Nathan: sai!?
Kriss: cosa?
Nathan: quasi quasi per il mio compleanno chiedo il gelato!
Kriss: noooo!
Nathan: hai ragione…noooo!
Quanti misteri albergano in noi, e quante volte dimentichiamo di essere stati
bambini e ragazzi, e quante volte basterebbe chiudere gli occhi e guardarsi
dentro per ritrovare la propria anima e, il proprio destino.

6.11.06

Copytight©2006/2010MaxSpera

Gli uomini che guardano le case

C’è un immagine di impotenza nella mia memoria. Non so se è la fotografia
reale degli anni ottanta o l’immagine costruita da racconti e dalle esperienze
consecutive.


C’è un uomo, inerme, forse mio Nonno, forse mio Zio, forse addirittura Dio, che
guarda la sua casa tremare. Forse la verità del mio ricordo è che in
quell’immagine, ci sono tutt’ e tre, come in una trinità maschilista che
rappresenta l’inferiorità di tuti noi al volere della Natura.
C’è mio Nonno, con gli occhi rossi, ancora bruciati dal sale marino, per la sua
fuga miracolosa da quella guerra orribile. La sua testa, pesante sulle sue
spalle, quasi a farlo sprofondare in un abisso silenzioso, per rifugarsi o per
scappare, ad ogni modo per provare a capire il senso di tutto questo, il senso
di una vita quasi rovinata da uomini ombra, senza volto, cha hanno deciso chi
aveva il diritto di vivere e chi no. Figure che lo hanno prima reso carne da
macello e poi trasportato nel frastuono omicida dell’assordante pazzia umana,
mentre il silenzio stellare guardava attonito attraverso i suoi occhi, ed
attraverso gli occhi di altri giusti.


Il senso di questo viaggio, ripreso con forza e determinazione, trasformandolo
in pace e ricchezza, quella reale, quella fatta del calore della famiglia e dei
sorrisi dei veri amici. La gioia della ricostruzione, del ritrovarsi alla tavola
domenicale in trenta e più, per rinnovare settimanalmente il ricordo, la
promessa, la volontà di un supporto, di una presenza che dice: “Io ci sono”!
Tutto questo, in una testa scossa nei pensieri, nelle speranze, nei movimenti
sussultori ed ondulatori di una vita di sacrifici, ripagati non con pezzi di carta
colorati, ma con abbracci fraterni, una memoria sballottata in giro per le stanze
di una casa, simbolo di una vittoria pacifica, alla quale mio Nonno, in
quell’istante, stava dicendo: ” Ti prego lotta, resta in piedi”!


In quell’immagine c’era probabilmente mio Zio, figlio di una nuova era, come
tutti i figli di chi ha fatto la guerra, di chi vive in uno stato ambiguo di
colpevolezza silenziosa, per aver sfiorato quella espressione universale di
Ignoranza Umana, e di sollievo carnale, per non aver dovuto accarezzare un
terreno imbrattato da viscere innocenti. Mio Zio, generazione di chi non ha mai
posato le braccia sui braccioli di una sedia, sempre pronto ad usarle per
ricostruire una memoria umana interrotta, per sostenere, con le sue, braccia
fraterne più piccole e bisognose e per dare modo a chi lo ha portato in questo
mondo, di poter dimenticare parte del suo passato. Una linea generazionale di
Zii e Zie cha hanno segnato il passaggio dalla povertà alla ricostruzione di un
benessere, dalle urla di dolore alla pace di una tavola natalizia. Nelle braccia di
mio Zio, c’era il tremore silenzioso di un pensiero terribile, quello della Divina
Provvidenza, che in uno slancio negativo, stava colpendo il sogno umano di
una rinascita, perchè espieasse le colpe di passata ferocia. Ma quale colpa
avevano le braccia di mio Zio, se non quella di essersi riposate la Domenica,
come gli era stato insegnato? In quelle braccia tremanti, mio Zio cercava la
forza di fermare una natura che stava decidendo del suo futuro, cercava
l’energia per poter sorreggere il suo presente ed i sogni di suo padre e sua
madre, mentre ripeteva nella sua mente:” Ti prego lotta, resta in piedi”!


In ultima analisi, se guardo bene, con gli occhi del bambino di due anni, lì, tra
me e la casa dei miei nonni, c’era Dio, fermo, con le sue gambe ben piantate al
suolo, provando a tremare con la terra e con essa trovare equilibrio. Dio per
mia nonna è sempre stato l’uomo di casa, colui che decideva il destino e che si
prendeva le colpe dei momenti negativi. Come una Maria del ventunesimo
secolo, aveva mio Nonno al suo fianco per i lavori pesanti e Dio nello spirito per
le gratificazioni e le colpe dell’anima. Probabilmente è per questo che Dio era lì
con noi, perchè era parte della famiglia e si sentiva responsabile, forse anche
in colpa. Responsabile per non aver ostacolato la nascita del pensiero di
guerra, probabilmente più vecchio di lui, in colpa, perchè probabilmente le sue
gambe gli stavano ricordando che il suo Regno e nei cieli e non in terra, dove
Natura regna. Ad ogni modo, anche lui stava guardando quella casa e sono
sicuro che con il suo potere di obiquità, stava guardando migliaia di case, forse
attraverso gli occhi dei bambini. Anche lui in quel momento stava tremando,
con le sue gambe terrene, stava confortando e forse chiedendo scusa a chi la
casa non era riuscito a sostenerla e ce l’eveva sulle spalle e su tutto il resto del
corpo. Sono certo che se avessi potuto guardare quel volto, non importa di chi,
avrei trovato lacrime di paura, speranza, conforto, son sicuro che in quel
momento, quando tutti e tre loro, si sono ritrovati nello stesso tremore ed
hanno gridato basta, forte abbastanza per risvegliare il senso umano della
Natura. Insieme hanno riposto forza nei loro cuori e per un istante, quello che
conta davvero, hanno superato la barriera terrena e spirituale. In quel
momento anche Dio ha detto: ” Ti prego lotta, resta in piedi”!


Così i sogni, le speranze il credo, da qualche parte si sono spenti, da altre si
sono rinnovati e rafforzati.

7.1.’12


Copyright©Massimiliano Spera 2012