C’è un immagine di impotenza nella mia memoria. Non so se è la fotografia
reale degli anni ottanta o l’immagine costruita da racconti e dalle esperienze
consecutive.
C’è un uomo, inerme, forse mio Nonno, forse mio Zio, forse addirittura Dio, che
guarda la sua casa tremare. Forse la verità del mio ricordo è che in
quell’immagine, ci sono tutt’ e tre, come in una trinità maschilista che
rappresenta l’inferiorità di tuti noi al volere della Natura.
C’è mio Nonno, con gli occhi rossi, ancora bruciati dal sale marino, per la sua
fuga miracolosa da quella guerra orribile. La sua testa, pesante sulle sue
spalle, quasi a farlo sprofondare in un abisso silenzioso, per rifugarsi o per
scappare, ad ogni modo per provare a capire il senso di tutto questo, il senso
di una vita quasi rovinata da uomini ombra, senza volto, cha hanno deciso chi
aveva il diritto di vivere e chi no. Figure che lo hanno prima reso carne da
macello e poi trasportato nel frastuono omicida dell’assordante pazzia umana,
mentre il silenzio stellare guardava attonito attraverso i suoi occhi, ed
attraverso gli occhi di altri giusti.
Il senso di questo viaggio, ripreso con forza e determinazione, trasformandolo
in pace e ricchezza, quella reale, quella fatta del calore della famiglia e dei
sorrisi dei veri amici. La gioia della ricostruzione, del ritrovarsi alla tavola
domenicale in trenta e più, per rinnovare settimanalmente il ricordo, la
promessa, la volontà di un supporto, di una presenza che dice: “Io ci sono”!
Tutto questo, in una testa scossa nei pensieri, nelle speranze, nei movimenti
sussultori ed ondulatori di una vita di sacrifici, ripagati non con pezzi di carta
colorati, ma con abbracci fraterni, una memoria sballottata in giro per le stanze
di una casa, simbolo di una vittoria pacifica, alla quale mio Nonno, in
quell’istante, stava dicendo: ” Ti prego lotta, resta in piedi”!
In quell’immagine c’era probabilmente mio Zio, figlio di una nuova era, come
tutti i figli di chi ha fatto la guerra, di chi vive in uno stato ambiguo di
colpevolezza silenziosa, per aver sfiorato quella espressione universale di
Ignoranza Umana, e di sollievo carnale, per non aver dovuto accarezzare un
terreno imbrattato da viscere innocenti. Mio Zio, generazione di chi non ha mai
posato le braccia sui braccioli di una sedia, sempre pronto ad usarle per
ricostruire una memoria umana interrotta, per sostenere, con le sue, braccia
fraterne più piccole e bisognose e per dare modo a chi lo ha portato in questo
mondo, di poter dimenticare parte del suo passato. Una linea generazionale di
Zii e Zie cha hanno segnato il passaggio dalla povertà alla ricostruzione di un
benessere, dalle urla di dolore alla pace di una tavola natalizia. Nelle braccia di
mio Zio, c’era il tremore silenzioso di un pensiero terribile, quello della Divina
Provvidenza, che in uno slancio negativo, stava colpendo il sogno umano di
una rinascita, perchè espieasse le colpe di passata ferocia. Ma quale colpa
avevano le braccia di mio Zio, se non quella di essersi riposate la Domenica,
come gli era stato insegnato? In quelle braccia tremanti, mio Zio cercava la
forza di fermare una natura che stava decidendo del suo futuro, cercava
l’energia per poter sorreggere il suo presente ed i sogni di suo padre e sua
madre, mentre ripeteva nella sua mente:” Ti prego lotta, resta in piedi”!
In ultima analisi, se guardo bene, con gli occhi del bambino di due anni, lì, tra
me e la casa dei miei nonni, c’era Dio, fermo, con le sue gambe ben piantate al
suolo, provando a tremare con la terra e con essa trovare equilibrio. Dio per
mia nonna è sempre stato l’uomo di casa, colui che decideva il destino e che si
prendeva le colpe dei momenti negativi. Come una Maria del ventunesimo
secolo, aveva mio Nonno al suo fianco per i lavori pesanti e Dio nello spirito per
le gratificazioni e le colpe dell’anima. Probabilmente è per questo che Dio era lì
con noi, perchè era parte della famiglia e si sentiva responsabile, forse anche
in colpa. Responsabile per non aver ostacolato la nascita del pensiero di
guerra, probabilmente più vecchio di lui, in colpa, perchè probabilmente le sue
gambe gli stavano ricordando che il suo Regno e nei cieli e non in terra, dove
Natura regna. Ad ogni modo, anche lui stava guardando quella casa e sono
sicuro che con il suo potere di obiquità, stava guardando migliaia di case, forse
attraverso gli occhi dei bambini. Anche lui in quel momento stava tremando,
con le sue gambe terrene, stava confortando e forse chiedendo scusa a chi la
casa non era riuscito a sostenerla e ce l’eveva sulle spalle e su tutto il resto del
corpo. Sono certo che se avessi potuto guardare quel volto, non importa di chi,
avrei trovato lacrime di paura, speranza, conforto, son sicuro che in quel
momento, quando tutti e tre loro, si sono ritrovati nello stesso tremore ed
hanno gridato basta, forte abbastanza per risvegliare il senso umano della
Natura. Insieme hanno riposto forza nei loro cuori e per un istante, quello che
conta davvero, hanno superato la barriera terrena e spirituale. In quel
momento anche Dio ha detto: ” Ti prego lotta, resta in piedi”!
Così i sogni, le speranze il credo, da qualche parte si sono spenti, da altre si
sono rinnovati e rafforzati.
7.1.’12
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