E per empatia, E per educazione, E per energia, E per etica, E per ego, E per elevazione, E per essere, E per esserci, E per essenziale.
La comunicazione digitale parte da quella analogica, dalla parola detta mentre guardiamo chi riceve il messaggio. Saper utilizzare il digitale non vuol dire capire di metriche, di seo e di conversione, vuol dire essere capaci di essere invece di esserci.
Buona lettura
Raccontare, dire, trasmettere, sono azioni in grado di
cambiare le dinamiche sociali ed è un dovere di tutti
e soprattutto dei “tecnici” formare ed informare gli
altri rispetto ad una corretta comunicazione.
Per dire, c’è bisogno di ritmo e tempo, il tempo
spesso serve per acquisire informazioni come la
lingua e i codici, mentre il ritmo è quasi un segnale di
rispetto verso l’interlocutore.
Che sia nel giornaliero, sul digitale o nel business, la
comunicazione non deve essere presa come un modo
per abbagliare, ma uno strumento per innovare, così
da indirizzare le parole verso il futuro.
Negli anni ho cercato di creare un mix tra il racconto
fantastico e carico di significati ed emozioni delle
favole, e delle poesie, con la complessa semplicità del
dire alle persone, un percorso ancora aperto e che
non penso si chiuderà mai.
Creare agorà di pensiero dove poter mettere sul
tavolo valori e bisogni, emozioni e sogni, questo è il
mio approccio con la consulenza.
Sviluppare linee comunicative vuol dire accogliere e
capire le esigenze (anche nascoste) dell’interlocutore
modellandole attraverso i valori e gli obiettivi dello
stesso.
Il successo è misurato in benessere umano e sociale,
dove quello economico diventa conseguenza
naturale, non esigenza primaria. Inutile creare
dinamiche economiche “vincenti” se poi si perde il
contatto con la realtà e la brevità della vita.
Per sviluppare queste dinamiche servono strumenti
come il gioco, il tempo, la conoscenza, la fede e
l’amore, elemento di paura nel business, ma che
regala verità potenti, se visto dalla giusta prospettiva.
DigitalSWAT
Il mio piccolo contributo ad un progetto pieno di persone cariche di talento.
Egogaina un tot al like!
Discriminazione Linguistica digitale (genesi)
Cosa ti aspetti dal selfie?
La piattaforma è semplice, il social-e è difficile!
Imprinting Digitale
È un’opinione, giusto?
E-tica: L’influencer è solo un Cyborg che non ce l’ha fatta!
Human is King
Nel codice dei media, “content is king” è la consapevolezza che tutto quello che viene ideato, costruito e proposto al “cliente” è la chiave di volta tra il successo ed il fallimento.
Che sia una grafica, una parola, una foto o un video (o l’insieme di questi elementi) non può non essere considerato un mezzo fondamentale per la comunicazione conscia ed inconscia dei valori, della Vision e della mission di un’ intera Azienda così come di un imprenditore o (iNprenditore) alle prime armi.
Nell’iperspazio digitale intasato di bello e meno bello, giusto e meno giusto, la regola degli ultimi decenni è stata: “esserci” ad ogni costo.
Questa regola, in luoghi come l’Italia dove la fame digitale è agli albori, è ancora valida ed attuale, così ci si ritrova con il paradosso del guardare con occhi sognanti e mani bramanti a realtà come quelle anglosassoni, dove l’umanizzazione del mercato è in fase di consolidamento, attraverso strategie di slow marketing ed in generale, con una profonda consapevolezza delle dinamiche “agile” e di empathetic marketing, mentre quì ancora ci affidiamo al Guerriglia Marketing, e ad amici in grado di “elaborare” qualcosa da “mettere” online.
Eppure, è forse proprio in realtà come lo stivale che si potrebbe avere il salto quantico nelle dinamiche comunicative, perché ancora portiamo i geni del bello, del tempo e della famiglia dentro le nostre connessioni neurali.
L’innovazione non ha più sede nella produzione di massa per un profitto da arrembaggio, ma nella consapevolezza della persona per un benessere sociale, infatti la nuova verità è che siamo tutti clienti di qualcuno, e di conseguenza siamo tutti alla ricerca dell’umanità riconosciuta dentro di noi, e ricambiata, nella rete di persone che formano il nostro cluster giornaliero.
Essere, questo è il problema quasi ancestrale che portiamo oggi sul digitale e nel mercato globale, essere analogici in un mondo digitale, essere fallibili in un mondo di codici perfetti, elaborare che quei codici nascono da esseri fallibili come noi tutti, persone che forse hanno trovato un’estensione della vita sulle piattaforme di silicio, nuova promessa di vita eterna.
Per essere però, abbiamo bisogno delle nostre emozioni (tutte) non delle solite 4 o 5 raccontate nei pochi secondi di un incontro fugace tra la corsa all’ufficio, e lo slot della palestra delle 17:30, ci vuole un vocabolario emotivo di tutto rispetto, un abbecedario del sentire in grado di accendere colate laviche di passione del miglior duende.
L’innovazione ha bisogno di persone ancor più analogiche di prima, ha bisogno di etica, di essenziale, di gioco e di empatia, tutte componenti in grado di generare e costruire sogni, il futuro stesso è da mettere nelle mani di chi non ha paura di sporcarsi le guance di lacrime (negative o positive che siano) e di parlare di soldi e amore nelle stesse frasi, il domani ha il dovere di riscoprire il suo più prezioso gioiello; l’essere umano, con meno buonismo e più verità, e per questo, domani sarà il giorno giusto per iniziare a lavorare sull’analogico, sulle persone, sulla libertà emotiva, sulla rivalsa economica dell’amore, da domani, si potrà dire che prima di ogni altra cosa: “Human is king“.
Rallenta…
Cosa significa prendersi cura della comunicazione di un brand o di un prodotto?
Al momento, “distrarre” le persone che ne fanno parte, portandole a guardare lontano dalla corsa al primo posto.
Cercare di far capire che il digitale è un mezzo, meraviglioso, ma che resta una parte dell’evoluzione del brand, una parte che può essere utilizzata quando la consapevolezza della propria identità e di quella del team, è chiara e concreta.
C’è la persona dietro ad un marchio, c’è la persona dietro ad un prodotto e la spettacolare complessità di un’idea che diventa Azienda, non può essere relegata ad una piattaforma digitale che ha regole pensate per la sopravvivenza della piattaforma stessa.
Bisogna pensare “non social” prima di utilizzarne uno, perchè a quel punto le piattaforme scelte, avranno un senso pratico e concreto, e saranno “utilizzate” senza rischiare di essere “utilizzati“.
Rallentare vuol dire (in linea generale):
– contenuti di qualità, non di quantità
– racconto (storytelling) non copia e incolla
– verità (etica) non glitters come make-up
– umanità (h2h) non messaggi di massa
Rallentare non vuol dire “non arrivare alla meta” ma arrivarci carichi dell’esperienza del viaggio.
Rallentare vuol dire avere il tempo di parlare senza briefings o meetings, di lasciare il tempo necessario al team di “elaborare” il messaggio, ognuno con i suoi tempi e modalità.
Vuol dire anche silenzio, vuoto, nulla.
Dove queste assenze diventano terreno di elaborazione e ripresa delle proprie forze emotive e fisiche.
Lasciate le stanze e gli schermi, e cercate di parlare dove c’è sociale, dove c’è natura, dove c’è la vita reale.
Si possono e si devono fare più incontri in ambiti “reali“, magari in parchi, magari sul tetto dell’Azienda, magari durante una lezione di yoga o una classe di cucina tradizionale.
Rielaboriamo il concetto di condivisione e lasciamo che l’elemento più prezioso che abbiamo prenda il sopravvento “l’essere umano“.
I progetti possono essere discussi fuori dalle mura asettiche e stanche di un ufficio, budgets e proiezioni possono essere valutati durante cene informali.
Rallentiamo per andare più veloce.
È risaputo che la pausa incrementa la percentuale di rendimento, ma pochi hanno il coraggio di utilizzarla, e anche la pausa digitale ha benefici importanti.
Troppa presenza può generare “rumore digitale” un’ esasperazione del “white noise” (rumore bianco) che nella troppa presenza, genera corti circuiti neurali in grado di annullare la percezione e la capacità di consapevolezza del messaggio.
Rallentiamo per solidificare la comunicazione attraverso la bellezza del messaggio (scritto-visuale) in modo da valorizzare il prodotto.
Attraversare un museo o una galleria con centinaia di opere in 20 secondi, non darà mai soddisfazione al nostro senso di benessere, non stimolerà mai la nostra amigdala a generare emozioni in grado di donare idee.
Facciamo in modo che il rallentare diventi asset Aziendale, per dare tempo alla “persona” di essere, che sia essa Team o Cliente.
Have you got a digital imprinting?
Have you ever heard about a little duck following a person after being the first “thing” the ducklet has seen? Well, something like that could happen in the digital world. How? Let’s see…
The first time, the very first time we approach a digital platform, we will absorb the features and ways of how that social works. This could be our “Digital Imprinting” and could determined how we will use and shape our digital life.
The majority of us, will set this experience as a learning moment and will engage with other platforms with the same vision, failing to see that each digital entity has its own nuances and mission.
A “digital imprinting” could lead to a misunderstanding between the provider and the user, and as a consequence, a wrong use of the platform.
Even Pros can overlook the imprinting, leading themselves to a wrong strategy.
As usual, the neutrality of the net is a blank canva for the ability and liquidity of the user. Platforms can be used as tools to create contents and identities, working on the mix of:
– client needs
– own skills
– platform tools
– gut feeling
– networking
What to do then?
Keep your mind liquid, learn from (and share with) your mentors, play (always) study, and be fearless when you decide to try something new.
In the end, always do what you love… What you are!
E-tica
Non si può vendere senza etica, è finito il tempo della massificazione, del profitto selvaggio, del prodotto prima della persona.
L’etica mette in discussione i valori che sono racchiusi nel bene che intendiamo mettere in vendita, mette in discussione il benessere reale che stiamo apportando alla società, e per questo non ne potremo fare a meno.
Più prodotti non aumentano il benessere di chi li possiede.
Sempre più persone stanno uscendo fuori dal torpore momentaneo che aveva donato il “possedere”. Malattie, pandemie, guerre, hanno poco alla volta riacceso il silenzio di umanità che per un pò era stato soppiantato dal senso di immortalità, dato da una crescita economica in grado di offuscare, donando più del bisogno reale.
Less is more!
Forse utilizzato troppo e magari svilito nel suo significato fondamentale, ma “meno è più” ha davvero senso lì dove il tanto non riesce a sopperire la mancanza di identità personale. L’etica, come l’empatia, non sono percorsi facili, ma restano fondamentali per una vita vera, in cui il benessere è costruito sulla persona e non sulle cose che la persona ha. Non sono strade semplici, ma sono le uniche in grado di sviluppare il set di regole in grado di liberarci dalla dipendenza economica come unico stile, ed obiettivo di vita.
Essere unico così da poter appartenere al tutto.
Nella visione egotica ed ignorante del giogo economico, l’essere diversi, unici, vuol dire appartenere all’elite dell’uomo al centro dell’universo, dove il carattere estroverso e vincente associato alla forza, alla mascolinità o femminilità estrema, in cui il corpo possente (non sano) la mente saccente (non curata) sono manifesti… Di decadenza umana.
Lì dove la mente costruisce ponti tra l’amore e l’intelletto, non può esserci sconfitta per la società.
Il volersi bene vuol dire investire su se stessi e poi sulle persone attorno a noi, così da creare clusters, agorà di crescita e sviluppo, in quel pensiero importante e fondamentale che è l’innovazione.
Senza etica però l’innovazione non è più un asset sociale, e non è più una piattaforma sulla quale posare la nostra esistenza, solo una scusa per placare la fame di vita, quando alla mercè di apparenza e ignoranza, non avremo cibo per sfamarla, solo mediocrità per sopprimerla.
L’etica pret a porter.
Nella bellezza delle parole, c’è la loro esternazione e la loro negazione, concetti meravigliosi che cozzano con i fatti, azioni pure, che si frantumano al cospetto delle parole più vuote. Allora l’etica, quella vera, ha bisogno di meno (molto meno) buonismo da quattro soldi, e più verità umana.
Concetti come integrità, rispetto, passione, non devono essere ostaggio di criminali e losche figure in giacca e cravatta, ma espressione semplice di popoli liberi, capaci di essere onde sinuose in concerto con la natura di se stessi e del mondo.
E quindi, quale etica?
La sobrietà del sapere e del sapersi, la gentilezza del vedere anche senza guardare, e l’amore del mancarsi, non del doversi amare.
Regole, punti e spunti raccolti durante la vita, durante gli errori che sanno insegnare, ma soprattutto regole date dalla voglia, il sano bisogno del poter appartenere alla vita sociale che cresce, anche grazie al nostro contributo.
E quindi, come?
Studio, fede, amore.
La ricerca continua di spunti per una nuova conoscenza, che migliori la nostra strada, aggiungendo strumenti alla ricerca della meraviglia.
Credere, non dal punto di vista religioso ma umano, pensare che sarà meglio, che tutto andrà bene grazie all’impegno dell’uomo, non perchè il buonismo ci impone una visione idilliaca. Credere, sulla base delle capacità incredibili della persona e della sua fede incrollabile verso il bello come soluzione.
Amare, senza limiti, fonte limpida ed essenziale di vita, non la parola svilita e mortificata da paurosi senza visione, non il gesto deciso per noi da entità o persone vicine nei passi, ma distanti anni luce dai nostri bisogni più umani. Che sia solo il sentimento puro e magico, mattone chiave per la costruzione di vite vissute al pieno del loro potenziale, dove la persona gode delle opportunità del suo essere macchina analogica potente, mente sublime capace di creare digitale per aumentare le opportunità presenti e future, piantate in ognuno dei nostri sensi.
Etica verso noi stessi, che meritiamo di godere delle possibilità del nostro essere, e di quelle che questa vita ci dona ad ogni angolo. Per noi, che al netto delle mille domande che dovremmo sempre far frullare nelle nostre menti, abbiamo una risposta certa, rispetto al nostro passaggio terrestre, ovvero, che insieme siamo in grado di superare i confini della gravità e i limiti delle nuvole.
Carichiamoci d’amore per essere protettori di questa potenza chiamata vita, e del suo universo da guardare a bocca aperta; chiamata meraviglia.
30.12.20
Business analogico
L’umanità vive in un contesto ciclico, dove tutto passa per ritornare, e proprio questa visione dovrebbe rendere chiaro il concetto che presto avremo di nuovo bisogno di famiglia, di abbracci, di silenzi, anche sul luogo di lavoro, anche in una transizione finanziaria da milioni di euro, perché il problema non sono i soldi, ma le energie, le emozioni legate al loro passaggio.
Ci vuole passione per noi stessi, per la nostra crescita, passione per le persone che ci vivono attorno, per godere in compagnia degli obiettivi raggiunti, per supportare ed essere supportati nei momenti grigi. Passione per quello che facciamo, perchè ogni giorno il nostro lavoro possa essere scusa gioiosa di crescita.
Il successo è un sano equilibrio all’interno di un ecosistema che restituisce logica alla bellezza del fare (business analogico).
- Successo è il risultato dato dall’abilità di migliorarsi nel tempo, investendo risorse anche emotive nel raggiungimento di obiettivi potenzianti a livello personale e sociale. Traguardi che in nessun modo ledono la situazione economica, sociale ed emotiva dell’individuo lì dove.
- Equilibrio è un obiettivo fondamentale da perseguire, che nella maggior parte dei casi diventa effimero, e che spesso è raggiungibile solo con il lavoro di squadra (famiglia, team di lavoro, compagni di scuola) in un ecosistema nel quale ascolto e umiltà sono basilari, dove l’ironia e la capacità di gioco sono asset preziosi.
- Business Analogico è quella realtà che rimette al centro le persone, riporta equilibrio in un ecosistema malato che idealizza e dona priorità al lato economico, a discapito del benessere sociale e personale delle persone coinvolte. Restituisce logica alla bellezza del saper creare economia con garbo, etica, gioia ed un pizzico di follia.
Si puó parlare di arte e pensare al ritorno economico, si puó parlare di sociale e pensare all’investimento da affrontare, si puó parlare di fatturato e allo stesso tempo sorridere; si puó parlare di soldi, senza dover rinunciare alla parola persona.
Il percorso è difficile, perchè essere felici richiede visione, dedizione e coraggio… Come il fare impresa, ecco perchè diventa un valore aggiunto accoppiarli in un unico viaggio verso la bellezza.
27.3.20
Netiquette per tutti
La frase che tutti noi almeno una volta nella vita abbiamo ascoltato è “comportati bene”, e se non è partita dai nostri genitori, magari è stata pronunciata dai nonni, da un poliziotto, un insegnante o un allenatore.
In questa frase c’è un mondo spesso inesplorato sia per chi la utilizza che per chi la riceve, e la realtà dietro di essa potrebbe essere espressa anche con: “prenditi cura”, di te stesso, in modo che tu possa conoscerti, incontrarti, capirti, e per chi te la propone, che in realtà non vuole che accompagnarti, che tu sia amico o sconosciuto ad esso, per un tratto di vita.
Prenditi cura
Non importa da quale parte tu sia, dietro al bancone o alla scrivania o davanti ad essi, l’importante è che tu capisca che resti “persona” qualsiasi ruolo tu abbia nella vita, e che la vita, prima o poi ti porrà in situazioni dove il tuo potere decisionale (reale o fittizio che sia) non avrà più forza, energia, peso. Comportati bene, diceva la nonna che sapeva di aver lei stessa dato poca importanza a quel “monito”, e che solo in un secondo momento ne aveva capito realmente la forza sociale e la valenza umana; se fai del bene, il bene tornerà a bussare alla tua porta, e non ci vuole una religione o una legge per questo concetto, è un punto di riferimento dell’essere umani su di un mondo meraviglioso fluttuante nello spazio magico.
Curare vuol dire prestare attenzione, “ascoltare” il bisogno che abbiamo o che ha, chi ci è accanto, vuol dire non risparmiarsi in empatia (se ne hanno innescato l’esplosione al momento giusto).
Analogico?
Quest’idea del comportarsi bene e del prendersi cura è forse un modo anche per costruire il nostro bouquet di valori umani che formano la nostra persona, che danno a chi ci incontra la possibilità di poterci identificare attraverso il nostro comportamento ed il nostro vocabolario emotivo?
In definitiva questo è legato alla nostra identità? Molto probabilmente la risposta è sì, e se questo funziona nel nostro mondo analogico, cosa succede nella nostra vita digitale?
Netiquette, questa la parola nata unendo il vocabolo inglese “network” unito a quello francese “étiquette”, che ci ricorda come comportarci mentre navighiamo tra le onde della rete, una parola ancora troppo poco utilizzata e che nelle sue regole per la maggior parte liquide, regala uno spunto importante per il saper vivere il digitale in modo consapevole.
Netiquette
Le regole parlano di come utilizzare:
- Blog
- Social
- Siti web pubblici e privati
Ci sono alcune regole che sono generali per tutti, come:
- Rispettare gli altri (lingua, religione, opinione)
- Non spammare o inviare catene
- Non inviare email senza soggetto
- Controllare la grammatica ed il testo in generale
- Non diventare spoiler
…e molte altre, ma poi ogni “luogo digitale” può avere le sue regole basate sulla propria natura e utilizzo.
Molte volte la cattiva comunicazione digitale è figlia dell’ego che cerca attenzione al di là del buon senso e delle buone maniere, a volte invece è semplicemente il risultato di una non conoscenza delle piattaforme e del mondo digitale in generale, per questo è sempre molto importante leggere le regole di comportamento di ogni piattaforma, ed è importante che i gestori/proprietari abbiano il buon senso di creare delle regole di comportamento.
Tattica e strategia
La netiquette è anche un modo per far partire una tattica o una strategia di comunicazione del proprio prodotto o di un cliente, infatti seguendo regole generali si ha da subito una struttura comunicativa (non inviare una mail al giorno se non richiesta, non utilizzare visual a bassa risoluzione e copy con errori).
Altra forma di comunicazione errata è quella che tiene il lettore sull’articolo, strutturandolo per i bisogni della SEO e non del lettore.
Identità
In chiusura si può dire che la netiquette, se utilizzata nel modo giusto, è uno strumento per creare e/o consolidare l’identità del prodotto e del brand.
Le regole che ci diamo nella vita analogica servono a preservare un modello di vita sociale capace di dare a tutti le opportunità di sviluppo e crescita, così dovrebbe essere anche nel mondo digitale; regole in grado di strutturare la comunicazione lasciando la possibilità a tutti di potersi esprimere e di poter scambiare know-how, ma con le giuste dinamiche, o almeno con quelle che il proprietario della piattaforma ritiene adatte.
27.3.20
Riferimenti:
- https://it.wikipedia.org/wiki/Netiquette
- http://www.treccani.it/enciclopedia/netiquette_(Lessico-del-XXI-Secolo)-(Enciclopedia-Italiana)/
- https://compassunibo.wordpress.com/2018/06/04/anche-il-web-ha-le-sue-regole-la-netiquette/ (Chiara Ciccosillo)
http://www.bio.unipd.it/local/internet_docs/netiq.html (Leopoldo Saggin)
Telelavoro… Smart
Spesso essere precisi sul significato delle parole non vuol dire “voler trovare il pelo nell’uovo“, ma semplicemente chiarire dei passaggi che potrebbero portare a futuri fraintendimenti o imprevisti. Questo post è un piccolo chiarimento sulla differenza tra “Telelavoro” e “Smart working“, perchè per qualcuno potrebbe fare la differenza saperlo, sia a livello organizzativo che economico.
Alla fine di questo post ci saranno riferimenti per approfondire ancor di più l’argomento, ma di seguito condividiamo le informazioni principali.
Differenza sostanziale tra i due:
– Telelavoro: Gestione del lavoro da un luogo preciso, scelto e coordinato insieme all’azienda (prevede che il dipendente lavori tipicamente da casa e che ci sia di norma un solo rientro a settimana nel posto di lavoro tradizionale).
– Smart working: Gestione del lavoro in modo agile, senza bisogno di un luogo fisso (il lavoratore dipendente svolge la sua prestazione lavorativa con totale autonomia organizzativa senza avere una postazione fissa).
Il telelavoro è attuabile nelle seguenti modalità:
– Telelavoro domiciliare: il prestatore opera dal suo domicilio.
– Telelavoro da “centro satellite“: la prestazione è resa in una filiale appositamente creata dall’azienda.
– Telelavoro mobile: la prestazione si svolge per mezzo di un PC portatile e di altri strumenti mobili (cellulari, palmari, ecc.).
– Si tratta di modalità diffusa principalmente tra lavoratore autonomo ed azienda, per mezzo di lavoro a progetto.
– Telelavoro da telecentri o telecottages: il telelavoro è svolto in appositi centri creati per lo scopo da un consorzio di aziende, da una azienda singola o anche da enti pubblici.
– Remotizzazione: il telelavoro è svolto da più persone che si trovano in luoghi diversi, ma che sono collegate tra loro.
– Sistema diffuso d’azienda: in pratica, con tale termine si suole indicare un’azienda esistente solo in rete.
Le norme vigenti al momento sono:
– Per il telelavoro, nel Pubblico e nel Privato è consentito dall’articolo 4 della legge 191 del 1998, dove ci sono le linee guida per modalità di connessione, postazione, autenticazione ai sistemi, utilizzo della firma digitale e, comunicazioni tra uffici.
– La Legge 22 maggio 2017 n. 81 (art. 18-24) disciplina il lavoro agile inserendolo in una cornice normativa e fornendo le basi legali per la sua applicazione anche nel settore Pubblico.
Negli ultimi anni si è scoperto con sempre più chiarezza che dare la possibilità al lavoratore di organizzare il proprio tempo e spazio (dopo aver ricevuto le informazioni e gli strumenti adatti) porta benefici su livelli diversi come: l’ambiente e l’economia.
Nel mondo sempre più aziende cercano di lasciare il modello che prevede 8 ore per 5 o 6 giorni di lavoro, per dare la possibilità alle persone di massimizzare il tempo di lavoro, riducendolo e creando un benessere per la persona che si tramuta in produttività.
La visione delle aziende davvero agili (e che possono attivare questa modalità) è quella di orientare il lavoro verso il “rendimento“, non il “tempo“, ovvero, dato un obiettivo (e gli strumenti per raggiungerlo) non ha più importanza se quest’ultimo viene raggiunto in un mese di lavoro o un giorno, l’importante è che abbia assolto tutti i parametri discussi all’inizio.
27.3.20
Riferimenti:
– https://it.wikipedia.org/wiki/Lavoro_agile
– https://it.wikipedia.org/wiki/Telelavoro
– https://www.digital4.biz/…/smart-working/telelavoro-cosa-e…/
– https://www.forumpa.it/…/smart-working-cose-come-funziona-…/