Società disevolutiva

Se l’evoluzione si ferma, il senso della vita si svuota. L’evoluzione avviene quando ci adattiamo all’ambiente circostante, (banalmente per sopravvivere e continuare a portare avanti la specie) ma l’evoluzione ha bisogno di una specifica capacità… La percezione del sé, perchè solo avendo cognizione del proprio essere possiamo coordinare il nostro esistere con quello degli altri, catturando nel tempo, le opportunità di crescita e di evoluzione.

E come funziona la percezione del sé?
Con l’allenamento fisico! Più ci lavori sopra più sei coerente con le tue capacità e la tua essenza, più avrai un corpo tonico e performante in grado di darti opportunità di miglioramento durante tutto l’arco della tua vita, e magari in grado di portarti ad una fine degna e semplice, ricca di ricordi ed emozioni che in qualche modo potrebbero restare lì con te, da qualche parte nell’infinito.

E invece no!
Stiamo atrofizzando l’emozione dell’incontro, stiamo demolendo l’essenza dello scambio, quella maestosa gocciolina di sudore che ci scivolava addosso pochi secondi prima, del tuffo negli occhi dell’altro.
A furia di dividerci in categorie e sottogruppi, ci stiamo isolando sempre di più in nome di una essenza unica, che di unico ha solo il grado di silenzio delle strade dove prima ci si incontrava e parlava, dove ci si innamorava e perdeva, nella meravigliosa giostra della crescita e dell’evoluzione.

Non diamo più attenzione agli altri, abbiamo paura degli altri, e spesso proviamo a rendere gli altri follower, perchè il dibattito, il controcanto, il pensiero opposto, ci rendono nudi e di conseguenza esposti alle brezze mentali degli altri, che potrebbero farci ammalare di riflessologia. E ci rendono poveri, senza un filtro o una grafica a gonfiare la semplice presenza accanto ad una spiaggia, ad un piatto di spaghetti, attimi di vita reali ed analogici che non portano più il like botulinico che ci serve per gonfiare il nostro ego. Al massimo lasciamo naturale un tramonto, forse perchè in realtà abbiamo consapevolezza che è condizione speculare del nostro stato.

Ci abituiamo sempre di più al bello, ma un bello asettico, scarico del senso del fascino, quel formicolio mentale che racchiude mistero, bellezza, voglia, paura… E forse è proprio la paura che ci frega, la paura di non esserci che alla fine in definitiva, non ci fa essere. La paura monta e diventa panna morbida, libidinosa, che ci attrae e ci coccola, in un limbo senza emozioni e sentimenti. Una volta c’era la paura della morte e ci hanno inventato le religioni, oggi c’è la paura dell’essere semplicemente analogici, e ci hanno inventato la seo e il ranking.

Di scappatoie ce ne sono poche reali, sempre di più digitali, quelle finte sanno di attimi sempre perfetti e di accettazione al limite della schizofrenia, del paradosso, dell’essere guru digitali con certificati da comprare un tot al chilo, e mediocri, anzi ignoranti umanamente a tal punto da non saper più nemmeno capire il pianto di un bambino che cerca un semplice, umano abbraccio. Di reali invece ve ne sono a lunga scadenza dove a contare è l’essere, dove in prima fila c’è l’empatia, un percorso difficile, pieno di cadute e sbucciature che alla fine per i pochi adepti, saranno medaglie al valor civile. La civiltà, l’essere civile, l’eleganza e la giusta dose di dignità, un aperitivo della vita che si impara a mescolare da bambini, con accanto genitori che non fanno gli amici, che piangono di notte per i sensi di colpa e che continuano a dire no (giustificando) anche se gli occhi lucidi dei figli sono paletti di frassino nel cuore.

Ci vuole volontà, ci vuole anima, e tutto questo nasce dal sorriso dei bambini ai quali bisogna regalare un futuro ricco di sogni ed opportunità. A lunga scadenza, come il latte, come un mutuo, come una casa che ci accoglie e non cade perché è stata costruita un pezzo alla volta, da mani esperte.

Ma noi andiamo di fretta, sempre in questo “now” che tutti sfoggiano ma che pochi comprendono, sempre un vedere vicino vicinissimo lasciando andare la logica del pianificare a lungo termine, perchè le distanze le lasciamo a chi la vita ce la pianifica e piuttosto ci lasciamo assuefare dagli attimi degli anni passati riproposti per creare emozioni riciclabili che ci legano al passato. Restiamo sempre più muti nei millimetri di un telefono che ci collega al mondo intero, senza nemmeno trovare il tempo per valutare le distanze di sicurezza, come sulle strade della vita, dove ci attacchiamo a chi ci è davanti, per mostrare quanto capaci siamo nel poter essere i prossimi leader, i prossimi primi, senza pensare che la vita, come la strada, può essere lunga e piena di “primi” da superare, quindi sarebbe meglio prendersi il proprio tempo e rendersi conto che il rischio di diventare di colpo definitivamente ultimi è imminente.

Allora cosa fare, cosa dire, da dove iniziare?
Dal voler essere migliori di ieri, ma non per gli altri; per noi stessi. Migliorarsi per godersi le opportunità della vita, per essere chi le opportunità le crea e le condivide, per essere chi domani accumulerà per merito e condividerà per umanità. Partire dalle parole, che sono mattoni per case emozionali a prova di bullo, le parole, che sono la medicina in grado di sconfiggere il buio. Se vogliamo tornare ad evolvere, dobbiamo tornare a sudare per trovare il miglior noi possibile, sudare per trovare il nostro posto in questo piccolo mondo, e sudare per potersi godere la meraviglia delle meraviglie… una vita d’amore.